In questa guida spieghiamo come funziona la vertenza sindacale e quali sono le conseguenze per il lavoratore.
Il rapporto di lavoro è regolato da una vasta normativa e i diritti del lavoratore in Italia sono tutelati dalla Costituzione, dalle norme del diritto del lavoro e dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, CCNL. Si parla moltissimo negli ultimi tempi della cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori e della sua sostituzione con tutele crescenti, al fine di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. Quando un lavoratore si trova nella parte del torto, il datore di lavoro può licenziarlo per giusta causa o giustificato motivo oggettivo. Se il lavoratore ritiene di essere stato leso in uno o più diritti, può tutelarsi con una vertenza sindacale. Questo strumento consente al lavoratore di trovare eventualmente giustizia in tempi rapidi, in quanto punta ad evitare lunghe indagini, trattandosi di dimostrare fatti tangibili, evidenti, altrimenti si dovrebbe fare ricorso a strumenti diversi.
La vertenza sindacale può avere come oggetto aspetti legati alla retribuzione. Si va dal mancato versamento di una o più mensilità, uno dei casi più semplici da accertare, all’accettazione da parte del lavoratore di una busta paga superiore a quella che effettivamente percepisce, in conseguenza di una costrizione da parte del datore di lavoro. Ancora, ferie non godute e permessi non retribuiti. In sostanza, parliamo di tutti quei diritti legalmente tutelati, ma che nei fatti, specie nelle aziende di minori dimensioni, vengono violati frequentemente. Il lavoratore spesso acconsente per mancanza di alternative.
La vertenza sindacale non è una procedura che va avviata solo una volta cessato il rapporto di lavoro, potendo benissimo avvenire quando il lavoratore si trova alle dipendenze dell’azienda, anche se siamo tutti consapevoli di quanto sia pesante, specie nelle piccole imprese, avvalersene restando sul posto di lavoro. Per questo, il suggerimento di qualsiasi sindacalista che abbia realmente a cuore la tutela degli interessi del lavoratore dovrebbe essere di cercare di dirimere altrimenti la controversia con il proprio datore di lavoro. In genere, anche solo la minaccia di una vertenza sindacale potrebbe risultare efficace a dissuadere l’azienda dal proseguire con comportamenti lesivi dei diritti del dipendente.
Se, invece, il capo avesse la testa dura e dimostrasse con i fatti di non avere alcuna intenzione di retrocedere dal comportamento o la decisione lesivi, allora bisognerà rivolgersi a un sindacato, il quale dovrà raccogliere informazioni e prove per cercare di capire quanto sia davvero accaduto. A questo punto, il sindacato convoca il datore di lavoro o un suo legale rappresentante all’Ufficio del Lavoro, gli contesta determinati fatti e gli propone un accordo. Non conviene a nessuna delle due parti, infatti, che abbia inizio un percorso legale. Se l’azienda è intelligente e se capisce di essere dalla parte del torto e che verosimilmente soccomberebbe in una contrapposizione con il dipendente, accetterà di scendere a patti. Se un accordo si trova, le parti redigono un verbale con i termini dello stesso, altrimenti si passa alle vie giudiziarie. In questo secondo caso, il sindacato passa la documentazione a un legale, che aprirà il procedimento presso la sezione che fa capo al giudice del lavoro nel Tribunale territorialmente più vicino.
Certo, non è una situazione oggettivamente auspicabile, visto che in assenza di conciliazione, i tempi medi in Italia per giungere a un giudizio sono di due anni. Al contrario, nel caso di conciliazione, il verbale va redatto entro 60 giorni dall’accordo. In ogni caso, fate attenzione ai tempi per tentare una vertenza sindacale, perché anche i diritti dei lavoratori si prescrivono, esattamente entro 5 anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro per le imprese fino a 15 dipendenti, dalla data di corresponsione dell’ultima retribuzione per le imprese sopra i 15 dipendenti.
Quanto ai costi, sono nulli nel caso di una vertenza che si concluda con la conciliazione, ma anche nel caso in cui la controversia con il datore di lavoro sfoci in una causa legale, il lavoratore non sosterrà costi, in quanto il patrocinio del sindacato è offerto gratuito. Certo, al limite si dovrà pagare l’iscrizione alla specifica sigla sindacale, ma parliamo di poche decine di euro all’anno in media. Nel caso in cui fossero necessarie perizie tese ad accertare, per esempio, il valore degli immobili e le altre consistenze patrimoniali del datore di lavoro, questi potrebbero comportare un costo a carico del lavoratore, anche se per piccole consistenze le perizie vengono evitate.
Se il rapporto di lavoro veniva svolto in nero, il lavoratore dovrà seguire un percorso simile a quello sopra descritto, ma che non si definisce vertenza sindacale. La differenza sta, infatti, nella necessità di adire non il sindacato, ma la Direzione Provinciale del Lavoro, con l’attenzione di esibile ogni prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro, come bonifici e assegni incassati per percepire la retribuzione e testimonianze sulla propria presenza sul posto di lavoro.