Il trasferimento di azienda o di un ramo di essa è quella operazione per la quale la titolarità della stessa muta, a seguito di processi di fusione, esternalizzazione, ristrutturazione, cessione o affitto. Risulta essere uno strumento molto utilizzato dai dirigenti, chiaramente in accordo con la proprietà, per evitare una drastica riduzione dell’organico, ovvero il licenziamento di un numero elevato di dipendenti. Come appena scritto, la cessione può riguardare l’intera azienda o solo una sua parte, nel quale caso si parla, appunto, di ramo di azienda.
Il Codice Civile prevede il mantenimento dei diritti dei lavoratori nei casi di trasferimento d’azienda, intendendo qualsiasi attività che preveda il mutamento nella titolarità dell’azienda o di un suo ramo. La cessione di un ramo è possibile, a patto che il resto dell’azienda rimanga autonomamente funzionale, stando alle valutazioni del cedente o del cessionario, al momento del trasferimento.
Dunque, nei casi di trasferimento di azienda o di un ramo di azienda si registra il cambiamento del titolare e chiaramente senza che vi sia bisogno del previo accordo dei lavoratori, i quali restano, tuttavia, tutelati. Essi continuano a rimanere alle dipendenze dell’azienda, o del ramo ceduto, sotto il nuovo titolare e conservano tutti i diritti che avevano sotto il precedente titolare sul piano retributivo, economico, previdenziale e di altro tipo, sempre che siano compatibili con il nuovo assetto organizzativo. Il lavoratore può chiedere al suo nuovo datore di lavoro il pagamento di crediti vantati verso il precedente, chiaramente attinenti al rapporto di lavoro. Nuovo e vecchio datore di lavoro sono obbligati in solido relativamente ai debiti sorti nell’ambito della gestione aziendale.
Se l’azienda d’origine e il ramo ceduto hanno pattuito un contratto di appalto, il lavoratore del secondo può agire in giudizio direttamente nei confronti della prima per obbligarla al pagamento dei debiti contratti con il ramo ceduto. Il nuovo datore di lavoro, poi, deve applicare lo stesso Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro precedente. Per il solo fatto che un ramo d’azienda o l’intera azienda sia stata ceduta, il lavoratore dipendente non può essere licenziato. Per le imprese che occupano più di 15 dipendenti, la cessione può avvenire con una comunicazione inviata con un anticipo di almeno 25 giorni alle rappresentanze sindacali, in modo che queste abbiano il modo di analizzarla, evitando che l’operazione comporti il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori.
La Corte Costituzionale ha stabilito di recente che la cessione può anche comportare la smaterializzazione o l’alleggerimento delle strutture per effetto dell’innovazione tecnologica, sempre che all’atto della cessione stessa vi sia una struttura parallela apprezzabile.
Vediamo cosa accade con il Trattamento di Fine Rapporto. Anche in questo caso ci hanno pensato i giudici a mettere ordine, chiarendo che, trattandosi di retribuzione differita, il datore di lavoro originario, quello che ha effettuato la cessione, resta obbligato per la parte maturata fino alla data del trasferimento d’azienda o del ramo, mentre il datore di lavoro cessionario e per il quale il lavoratore è alle dipendenze successivamente a quella data è l’unico obbligato da quel momento in avanti. Allo stesso modo, il datore di lavoro cessionario resta obbligato per la parte maturata prima della data di trasferimento, limitatamente agli obblighi di solidarietà tra le parti.
Dunque, ipotizziamo che un lavoratore abbia iniziato a lavorare con l’azienda X dalla data 01/06/2007 e che il ramo d’azienda per cui lavora venga trasferito a una seconda società Y in data 10/09/2017. Per il TFR maturato dall’inizio della sua attività lavorativa e fino alla data del trasferimento del ramo di azienda, avvenuto il 10 settembre 2017, resta esposto il vecchio datore di lavoro, mentre successivamente a questa data lo sarà solo il nuovo datore di lavoro. Nel caso in cui il vecchio datore non provveda o non sia in grado di corrispondere la quota dovuta al suo ex dipendente, sarà obbligato in solido il nuovo datore. Nella pratica, quando una società rileva le attività di un’azienda precedente, paga un corrispettivo pari al loro valore, chiaramente al netto dei debiti. Visto che il TFR non è altro che una retribuzione accantonata nel tempo in favore del dipendente, esso farà parte dello Stato Patrimoniale dell’azienda o del ramo ceduti. In questo modo, chi acquista avrà già fatto i conti di quanto dovrà pagare in futuro e scalerà dal prezzo il corrispondente importo. Nei fatti, quindi, sarà il nuovo datore a pagare il TFR al dipendente, quando sarà interrotto il rapporto di lavoro.
Dunque, le norme tutelano i lavoratori nei casi di trasferimento di azienda o di un suo ramo. Non poteva che essere così, altrimenti simili operazioni potrebbero essere ideate al solo fine di eludere alcune norme. Un’azienda, per esempio, potrebbe scorporare un ramo dal resto delle attività solo per ridurre il numero dei lavoratori in organico sotto 15, la soglia oltre la quale scatta l’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, anche se mitigato con il Jobs Act negli ultimi anni.