I conti deposito sono strumenti finanziari molto popolari e diffusissimi tra le famiglie italiane, in quanto garantiscono un minimo rendimento e preservano grosso modi dai rischi. Le banche offrono al titolare un determinato interesse sulla somma di denaro depositata, in funzione generalmente crescente all’aumentare della durata del vincolo temporale. In sostanza, più è il tempo per il quale il risparmiatore s’impegna a non prelevare anche solo parzialmente il denaro depositato, maggiore è l’interesse che gli verrà riconosciuto in termini percentuali. Ad esempio, l’istituto potrebbe offrire l’1% per i vincoli a 12 mesi e il 2% per quelli a 24 mesi.
Parliamo, ovviamente, di rendimenti molto bassi, anche considerando che siamo in un’epoca di tassi zero. In ogni caso, resta sempre conveniente aprire un conto deposito, anziché parcheggiare la liquidità su un conto corrente, nei fatti infruttifero. Tuttavia, il conto deposito, come qualsiasi altro prodotto finanziario, è soggetto a tassazione.
Anzitutto, esso è gravato dall’imposta di bollo, pari allo 0,20% della giacenza. In sostanza, se ho depositato 10.000 euro, pagherò 20 euro all’anno per l’imposta di bollo. Se la cifra depositata è di 30.000 euro, l’importo da pagare sale a 60 euro.
Ma il bollo non è l’unica imposta da pagare. Poiché il conto deposito frutta un determinato rendimento, come sopra detto, questi sarà soggetto alla tassazione delle rendite finanziarie e a partire dall’1 luglio del 2014, l’aliquota è salità dal 20% al 26%, quando dal 2012 era scesa dal 27% al 20%, di fatto defalcando i frutti dei risparmi delle famiglie italiane.
Se, ad esempio, un conto deposito di 20.000 euro e vincolato a un anno offre un rendimento lordo dell’1,50%, esso sarà pari a 300 euro. Questi ultimi saranno tassati con aliquota al 26%, ossia la banca ci accrediterà al netto 300 – 78 = 222 euro. Come detto sopra, l’imposta di bollo dello 0,2% sarà pari ad altri 40 euro, per cui il rendimento netto effettivo sarà di 182 euro, inferiore all’1%.
Poiché l’imposta di bollo si paga sulla giacenza media del conto deposito e non sul suo rendimento, è bene tenere presente che potrebbero verificarsi alcuni casi, in cui la tassazione complessiva superi il rendimento lordo, di fatto intaccando il capitale. Per i conti deposito, in realtà, sono casi rarissimi, che si potrebbero avere nei casi di vincoli di durata molto breve. Facciamo un esempio: la banca offre lo 0,40% per un vincolo a 6 mesi.
Se abbiamo depositato una somma di 10.000 euro, ciò significa che dopo 6 mesi abbiamo diritto a un interesse lordo pari a 10.000 x 0,004 / 2 = 20 euro. Di questi, 5,20 euro vanno allo stato, sotto forma di tassazione delle rendite finanziarie, per cui al netto riceviamo 14,80 euro. Al contempo, però, dobbiamo versare allo stato 20 euro come imposta di bollo, per cui potremmo rimetterci qualche euro, nel caso in cui tenessimo il deposito non vincolato per il restanto periodo dell’anno.
Stessa situazione, nel caso di ritiro anticipato della somma depositata. Poniamo che ci fossimo impegnati a non ritirare una somma di 10.000 euro prima dei 12 mesi, alla scadenza dei quali avremmo ricevuto un interesse lordo dell’1,50%. Mettiamo il caso che per esigenze impreviste, abbiamo dovuto ritirare parte della somma dopo 6 mesi, per cui la banca ci riconosca solo un tasso di base dello 0,50% sull’intera somma. Il rendimento lordo ricevuto sarebbe pari a 10.000 x 0,005 x 6 /12 = 25 euro, che diventano 18,50 netti, meno dei 20 euro che dovremmo pagare a fine anno con l’imposta di bollo.
Ovviamente, stiamo trattando casi particolari, anche al limite del paradosso (perché dovremmo lasciare una somma di denaro infruttifera per mesi e mesi su un conto deposito?), ma realistici. In ogni caso, è bene sapere che molti istituti si fanno carico del pagamento dell’imposta di bollo per il cliente. In sostanza, alla fine dell’anno, questi non pagherà alcunché. Ma poiché non esistono i pasti gratis, ciò equivale a dire che il rendimento offerto è generalmente un po’ più basso di quello che sarebbe, in assenza dell’imposta di bollo.
Attenzione, però, specie per i piccoli e piccolissimi risparmiatori a farsi venire la “brillante” idea di spostare liquidità da un conto deposito a un conto corrente, per sfuggire alla tassazione delle rendite finanziarie. Per prima cosa, è ovvio che questa nei fatti non esista per le somme accreditate su un conto corrente, visto che esso non versa interessi o lo fa in percentuali sempre vicinissime allo zero, più formali che sostanziali. Ma bisogna anche fare i conti col fatto che per le giacenze medie superiori ai 5.000 euro all’anno, l’imposta di bollo qui è fissata a 34,20 euro, applicata su base trimestrale. Nel caso di un conto da 10.000 euro, quindi, anziché pagare i 20 euro sopra riportati per il conto deposito, qui saremmo costretti a versare 14,20 euro in più, a fronte dei quali non avremmo nemmeno diritto a un interesse e potremmo dovere fronteggiare anche diverse spese relative alle commissioni bancarie.
In poche parole, i conti deposito continuano a restare preferibili ai conti correnti, anche al netto delle considerazioni relative alla tassazione.