Negli ultimi anni, dopo l’inasprimento dell’imposizione fiscale sugli immobili in Italia, molti nostri concittadini hanno iniziato ad investire parte dei loro capitali per l’acquisto di seconde case all’estero, anche approfittando di prevedibili opportunità di speculazione, come nel caso della Germania, paese storicamente dai bassi valori immobiliari, dove ancora nel 2012 era possibile comprare un appartamento al centro di Berlino a 1.000 euro al metro quadrato, meno di quanto si acquisterebbe nel nostro paese un immobile di periferia.
Chi ha la fortuna di avere liquidità disponibile da investire in immobili all’estero deve tenere conto di una serie di spese e di imposte a cui dovrà rispondere. Oltre al costo in sé dell’immobile, ci sono le spese di intermediazione e di registrazione, che nel nostro paese ammontano mediamente al 16-17% del valore dell’acquisto. Bisogna fare attenzione a queste voci, perché se in alcune realtà come Londra tali costi rappresentano appena il 5% dei valori immobiliari acquistati, in altre come la Russia arrivano al 25%.
Un primo fattore per decidere se abbia o meno convenienza acquistare un immobile è il rendimento medio lordo. In Italia, esso si attesta intorno al 4-5%, che al netto delle imposte e delle spese di gestione significa che ci vorrebbe una ventina di anni almeno, prima di recuperare l’investimento. Considerando anche le spese iniziali di intermediazione e di registrazione, potrebbero essere necessari anche 25 anni per rientrare nei costi iniziali sostenuti.
Rendimenti simili si riscontrano in Francia, così come sulla piazza londinese. In economie a alta crescita come Moldavia e Macedonia, i rendimenti medi lordi salgono al 9-10%, per cui potrebbero essere necessari appena 10 anni per rientrare nell’investimento.
Un altro fattore da considerare, se si acquista un immobile estero a fini speculativi, ovvero per rivenderlo a un prezzo maggiore nel futuro, è la tendenza del mercato. Dicevamo, ad esempio, che la Germania ha sperimentato in questi ultimi anni un afflusso di investimenti stranieri sul comparto immobiliare, cosa che ha surriscaldato i prezzi delle case del 3% all’anno dal 2010, dopo che i valori erano rimasti stagnanti sin dalla riunificazione del 1990. Tuttavia, un recente report della Bundesbank ha lanciato l’allarme, sostenendo che nelle principali città tedesche, i prezzi delle case sarebbero sopravvalutati fino al 20%. In sostanza, la Germania non dovrebbe essere considerata un porto sicuro per gli investimenti immobiliari, perché non ha alle spalle una storia di crescita dei valori immobiliari, né davanti a sé prospettive solide a tale riguardo.
Un discorso diverso riguarda il Nord Europa, in particolare, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia. Queste economie hanno visto esplodere i prezzi degli immobili dalla metà degli anni Novanta. In Svezia, per esempio, sono triplicati dal 1995 al 2010. La corsa, però, sembra essersi arrestata, per cui chi investisse oggi in queste realtà potrebbe comprare a prezzi alti e dover rivendere nei prossimi anni a prezzi inferiori.
Guai a pensare che l’acquisto di una casa all’estero possa sfuggire al fisco italiano. Esso va dichiarato nel modello Unico, nel quadro RL. Il reddito prodotto, se l’immobile non è stato locato nell’anno di imposta e si è pagata l’Ivie, deve essere indicato nel rigo RL12 colonna 1. Nel quadro RM, infine, sezione XV –A, vanno scomputate le imposte versate negli altri paesi per il possesso dell’immobile.
Se l’immobile estero è stato ceduto e l’atto di cessione è stato redatto da un notaio italiano con le modalità previste dall’art.67 del Tuir, si ha la possibilità di avvalersi dell’imposta sostitutiva sulla plusvalenza realizzata dall’operazione di trasferimento della proprietà, decurtata del 20%.
Problema: come si calcola il valore di un immobile estero, che deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi? Si può prendere a riferimento un immobile simile in Italia e verificarne il valore medio di mercato, oppure si può prendere il valore di locazione, applicando una riduzione del 50%.
Ovviamente, le ipotesi che stiamo considerando sono relative agli acquisti di immobili all’estero da parte di persone fisiche fiscalmente residenti in Italia. Avvertiamo che lo scambio di informazioni crescente e anche con i cosiddetti “paradisi fiscali” fa sì che sia quasi impossibile sfuggire al fisco italiano, tranne che non si schermino tali acquisti con scatole societarie. Il sistema, però, diverrebbe costoso e a meno che tu non sia un grosso investitore, sarebbe una follia creare un castello societario fittizio per sfuggire all’acquisto di un solo immobile e dal valore modesto all’estero.
La doppia tassazione è, in ogni caso, evitata. Se si paga già l’imposta sull’immobile allo stato estero, la nostra IMU, essa non è dovuta anche in Italia. Viceversa, sì. Lo stesso dicasi per i redditi da locazione prodotti all’estero: se vengono tassati dallo stato estero, nulla è dovuto al fisco italiano, altrimenti devono essere dichiarati e sottoposti a tassazione. L’Ivie non è dovuta, però, se il calcolo porta a un valore inferiore ai 200 euro.
Di certo, la proprietà di un immobile all’estero arricchisce le informazioni che il fisco italiano deterrà sul nostro conto, contribuendo a fornire all’Agenzia delle Entrate un redditometro sempre più potenzialmente vicino alla realtà. Insomma, se acquistate immobili a Londra e dichiarate redditi miseri in Italia, state certi che qualche riflettore dei funzionari fiscali si accenderà su di voi.