L’Irpef è l’imposta sul reddito delle persone fisiche ed è progressiva, vale a dire che l’incidenza della tassazione tende a crescere in misura percentuale rispetto al reddito lordo dichiarato, al crescere di quest’ultimo.
Come le altre forme di tassazione, anche l’Irpef ha subito numerosi cambiamenti nel tempo, in modo da rispondere alle richieste provenienti dalle parti sociali. Il principio su cui funziona, però, è pressoché identico.
Il reddito totale annuo percepito dal dichiarante e derivante dal lavoro (dipendente, autonomo), dalla pensione, dagli immobili (per i canoni percepiti nell’anno dalla locazione di un immobile ci si può avvalere, in alternativa, della cedolare secca) e dai dividendi deve essere sottoposto a tassazione. Esso viene suddiviso in cosiddetti scaglioni di reddito, ognuno dei quali prevede un’aliquota Irpef differente e progressiva.
A oggi, le aliquote risultano essere 5, applicati su altrettanti scaglioni: il 23% si applica sui redditi fino a 15.000 euro all’anno, il 27% sui redditi compresi tra i 15.001 e i 28.000 euro all’anno, il 38% sui redditi compresi tra i 28.001 e i 55.000 euro all’anno, il 41% sui redditi compresi tra i 55.001 e i 75.000 euro all’anno e, infine, il 43% sui redditi dai 75.001 in su.
Riportiamo adesso un esempio semplice per capire come si applica la tassazione Irpef. Immaginiamo che un contribuente dichiari di avere percepito nell’anno 2014 un reddito complessivo di 90.000 euro. Al momento, trascuriamo la provenienza di tale reddito e sulla situazione personale del dichiarante e concentriamoci sul calcolo.
Sui primi 15.000 euro, il contribuente dovrà versare il 23%, ossia 3.450 euro. Sul reddito compreso tra i 15.000 e i 28.000 euro, dovrà pagare il 27%, ossia 3.510 (0,27 x 13.000); sulla quota di reddito compresa tra i 28.000 e i 55.000 euro, dovrà versare il 38%, ossia 10.260 euro (0,38 x 27.000); sulla parte di reddito compresa tra i 55.000 e i 75.000 euro va versato il 41%, ovvero 8.200 euro (0,41 x 20.000); infine, sulla quota di reddito eccedente i 75.000 euro va pagato il 43%, va a dire 6.450 euro (0,43 x 15.000).
Facendo la somma, il contribuente dovrà versare complessivamente al Fisco 3.450 + 3.510 + 10.260 + 8.200 + 6.450 = 31.870 euro. Rapportati ai 90.000 euro, equivalgono al 35,41%, che definiamo anche aliquota media, sostenuta del contribuente. E’ evidente che quanto più elevato sarà il reddito dichiarato, tanto più alta sarà l’aliquota media, perché una parte sempre maggiore del reddito sarà sottoposta alle aliquote più alte.
Rispetto al procedimento sopra indicato, bisogna, però, apportare qualche correzione. Infatti, il Fisco garantisce un’esenzione di fatto dal pagamento delle imposte per le prime migliaia di reddito percepite, a seconda che sia derivante dal lavoro dipendente, dal lavoro autonomo o dalle pensioni.
Tale “sconto”, se così possiamo definirlo, si ha sotto forma di detrazione, ammessa in funzione decrescente al crescere del reddito. Ad esempio, i lavoratori dipendenti hanno diritto a una detrazione pari a 1.880 euro per i redditi fino a 8.000 euro, mentre i lavoratori dipendenti possono detrarre 1.104 euro per i redditi fino a 4.800 euro. Infine, i pensionati hanno diritto a una detrazione di 1.725 euro fino ad assegni percepiti di 7.500 euro all’anno.
Ciò equivale a dire che un lavoratore dipendente non pagherà l’Irpef, se ha un reddito inferiore a circa 8.175 euro, che un pensionato non verserà un euro di Irpef, se la sua pensione annua ammonta a meno di 7.500 euro e che un lavoratore autonomo sarà del tutto sgravato fino a 4.800 euro annui.
Superate tali soglie, la detrazione sopra indicata inizia a venire meno, ma in maniera progressiva, fino a scomparire del tutto, una volta raggiunta la soglia di reddito dei 55.000 euro.
Nel caso del lavoratore dipendente, la detrazione è ammessa in funzione del periodo lavorativo, rapportato ai 365 giorni nell’anno solare, anche se non potrà essere inferiore a 1.380 euro.
Detto questo, non abbiamo finito. In primis, perché l’Irpef è un’imposta personale, il che implica che due contribuenti, che hanno dichiarato lo stesso identico reddito, derivante dalla stessa fonte, potrebbero ritrovarsi a pagare un’imposta differente, perché il carico complessivo dipenderà anche dalla situazione familiare e dalle spese detraibili e deducibili. In sostanza, se si ha un coniuge a carico, si ha diritto alla relativa detrazione, così come se si hanno figli a carico e in quest’ultimo caso va valutata anche l’età, perché per i minori di età fino a 3 anni si ha diritto a una detrazione maggiore. Lo stesso dicasi anche per i figli non autosufficienti, in quanto affetti da handicap certificato.
Durante l’anno, poi, possono essersi effettuate spese, che il Fisco ammette a detrazione, fino a una certa somma massima e/o per una percentuale fissa. Si pensi alle spese sanitarie (farmaci, visite, etc.): in questo caso, è ammessa la detrazione del 19% della spesa superiore ai 125 euro annui.
Infine, il carico fiscale dipende anche dal Comune e dalla Regione di residenza. Questi due enti possono imporre, infatti, le cosiddette “addizionali” Irpef. Non solo. Essi possono applicare tali addizionali, indipendentemente dagli scaglioni di reddito nazionali, anche non tenendo conto dell’esenzione ammessa per la prima fascia di reddito, la cosiddetta “No tax area”, finendo per aggravare spesso anche la pressione fiscale sui redditi più bassi.