In questa guida spieghiamo quali sono le sanzioni disciplinari sul lavoro.
Il datore di lavoro ha potere disciplinare nei confronti del proprio dipendente, sebbene esso sia limitato dalle norme contenute nello Statuto dei Lavoratori, così come dal Codice Civile. Le sanzioni disciplinari previste sono diverse e ciascuna di rilevanza differente, a seconda della gravità del comportamento del lavoratore ritenuto dal datore di lavoro lesivo dei suoi obblighi. Si parte dal rimprovero verbale alla contestazione scritta, relativamente a cui è possibile vedere anche questo modello di lettera di richiamo sul sito Guidelavoro.net, ma è prevista anche la possibilità di comminare una multa, corrispondente a un massimo di 4 ore di retribuzione, così come la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un periodo massimo di 10 giorni, fino ad arrivare ad azioni più drastiche, come il trasferimento, qualora previsto dal Contratto collettivo nazionale del lavoro, ma con mansioni equivalenti alle precedenti. Infine, nei casi più gravi si arriva al licenziamento.
Il rimprovero verbale è forse il caso più comune, oltre che il meno grave. Il datore di lavoro, o chi lo rappresenta davanti ai dipendenti, richiama il lavoratore, magari convocandolo in ufficio e comunicandogli di non avere gradito un determinato comportamento. Per quanto non vada mai sottovalutato, il richiamo verbale non è certamente tra quelli che dovrebbero spaventare più di tanto il lavoratore, a patto che questi capisca il messaggio. Per esempio, il capo del personale o il datore di lavoro in persona potrebbero rimproverare al dipendente di essere arrivato per uno o più giorni in ritardo sul posto di lavoro e senza un’apparente giustificazione. Basta prendere atto della contestazione, magari spiegare le ragioni del proprio comportamento senza la pretesa di giustificarlo e promettere di non ripeterlo più.
Diverso e più grave è il caso del rimprovero scritto. Esso consiste in una contestazione da parte del datore di lavoro al dipendente, ma tramite una lettera, che può essere consegnata a mano o inviata al domicilio del lavoratore tramite raccomandata. Questa seconda forma sarebbe nell’interesse del datore di lavoro, che possiede così una prova con data certa sulla contestazione effettuata. Nella lettera è necessario che risulti specificato il comportamento contestato e le circostanze in cui esso si sarebbe tenuto, chiedendo al lavoratore di cessarlo. La contestazione deve essere non solo puntuale, ma anche immediata, ovvero temporalmente vicina al momento in cui il datore di lavoro è venuto a conoscenza del comportamento contestato, oltre che immutabile, nel senso che non può fare riferimento a circostanze nuove, rispetto a quelle segnalate al lavoratore, che aggraverebbero la sanzione, ma senza che questi sia nelle possibilità di difendersi. Contestazioni generiche e formulate male da parte del datore di lavoro portano alla nullità dell’eventuale sanzione comminata.
Il lavoratore ha il diritto di fare valere le sue motivazioni per scritto o anche solo verbalmente, entro 5 giorni dalla data di ricevimento della missiva. Si consiglia sempre di replicare per scritto, in modo da avere una prova della risposta. Chiaramente, il datore di lavoro può ritenersi soddisfatto o meno della difesa del lavoratore. Se lo è, il caso è chiuso, ma se non lo fosse, comminerà una sanzione, che deve essere proporzionata alla gravità del comportamento contestato. A sua volta, il lavoratore può accettare passivamente la sanzione, oppure può contestarla, se ritiene che sia ingiusta. La contestazione della sanzione può avvenire davanti al collegio arbitrale costituito presso la Direzione provinciale del lavoro, formato da un rappresentante proprio, uno del datore di lavoro e un altro scelto di comune accordo tra le parti, oppure nominato dall’Ufficio del Lavoro. In alternativa, si può scegliere il giudice ordinario. Risulta essere evidente, che nel momento in cui si scegliere di procedere con una causa legale contro il datore di lavoro, oppure di ricorrere al collegio arbitrale, si deve mettere in conto il deterioramento dei rapporti. In ogni caso, la sanzione resta sospesa fino alla conclusione della procedura di impugnazione. Se entro 10 giorni dall’invito il datore di lavoro non nomina un proprio rappresentante per il collegio arbitrale, la procedura non va avanti e la sanzione si considera inefficace.
Il datore di lavoro ha anche l’onere di provare la proporzionalità tra la sanzione comminata e il comportamento contestato, ma non può eccedere i limiti indicati. In ogni caso, il carattere della sanzione non è di tipo risarcitorio, ma afflittivo, nel senso che essa non serve a risarcire il datore dell’eventuale danno provocato dal lavoratore, ma punta semmai a criticare il comportamento del lavoratore davanti ai colleghi, in modo che esso non abbia più a ripetersi. Esempio, se il lavoratore è sorpreso ad arrivare per un periodo più o meno prolungato sul posto di lavoro con ingiustificato ritardo congruo, il datore di lavoro può anche decidere, dopo avere completato la procedura di cui sopra, di sospenderlo dal lavoro e dalla relativa retribuzione per un giorno, ma non con il fine di recuperare le somme corrispondenti al presunto danno stimato dalla condotta del dipendente, quanto per evidenziare pubblicamente la scorrettezza del comportamento contestato, in modo che non si ripeta e che non venga imitato da altri.