In questa guida spieghiamo in cosa consiste il licenziamento disciplinare.
La disciplina del lavoro è stata di recente sottoposta a modifiche normative profonde. Se nel 2003 era stata la cosiddetta Legge Biagi a stravolgere e innovare il mercato del lavoro in Italia, nel 2012 è arrivata la riforma Fornero a imprimere una svolta, completata nel 2015 con l’entrata in vigore del Jobs Act.
Partiamo subito col dire che, per quanto la nostra normativa sul lavoro possa essere considerata rigida, ossia a forte tutela dei diritti dei lavoratori, questi possono ugualmente essere licenziati per ragioni disciplinari. E questo, al netto delle novità contenute nelle ultime riforme approvate dal Parlamento.
Infatti, il combinato tra gli artt.1175 e 1375 del Codice Civile suggerisce che la condotta del lavoratore deve essere ispirata ai criteri di diligenza e correttezza, come anche è il ragionamento derivante dall’interpretazione dell’art.2 della Costituzione, che parla di solidarietà sociale. Questo concetto implica che tra datore di lavoro e lavoratore vi deve essere un rapporto di correttezza, di lealtà, di reciproca collaborazione.
Tornando, invece, ai 2 articoli del Codice Civile, il primo parla di correttezza nel rapporto tra creditore e debitore, che in senso lato, da un punto di vista contrattuale, potrebbero essere il lavoratore e il datore di lavoro, mentre il secondo fa riferimento alla buona fede nell’esecuzione del contratto, come potrebbe essere, appunto, quello di lavoro.
Affinché un licenziamento si abbia per motivi disciplinari, è necessario che il lavoratore si sia reso responsabile di un comportamento grave e irreparabile e che questo abbia provocato un danno oggettivo. Che cosa succede, quando il datore di lavoro intende licenziare il lavoratore per una ragione del genere. Per prima cosa, deve redigere una lettera, che dovrà inviare al domicilio del dipendente tramite raccomandata. Non è altresì necessario, invece, che alla lettera sia allegata la documentazione che comprovi le responsabilità del dipendente. Nella lettera, invece, dovranno essere indicate le accuse e le circostanze nelle quali il dipendente si sarebbe reso responsabile di comportamenti scorretti e che abbiano comportato un danno per l’azienda.
A volte, specie nelle piccole realtà aziendali, il datore di lavoro o il responsabile dell’ufficio del personale è solito convocare il lavoratore presso il medesimo ufficio, consegnandogli a mano la lettera di licenziamento. A quel punto, il lavoratore potrebbe rifiutarsi di firmare la missiva e il licenziamento non avrebbe alcuna efficacia, dovendo essere comunicato al dipendente in maniera formale, in modo che egli abbia la possibilità di replicare alle accuse entro il termine dei 5 giorni. In assenza di tale comunicazione formale, il datore di lavoro potrà essere condannato al risarcimento dalle 2 alle 6 mensilità al lavoratore, indipendentemente da quanto stabilirà il giudice, in relazione all’oggetto del contendere tra le parti.
Il lavoratore ha il diritto o di inviare una risposta con lettera raccomandata all’ufficio del personale, in alternativa, potrà consegnare a mano la missiva, avendo cura di farla firmare dal destinatario, oppure potrà presentarsi al cospetto del datore di lavoro o del responsabile delle risorse umane, accompagnato da un avvocato, da un rappresentante sindacale o anche da solo, al fine di chiarire la propria posizione.
Solo successivamente alla replica del lavoratore o alla mancata replica nei termini previsti, il datore di lavoro può effettivamente provvedere al licenziamento disciplinare del dipendente.
Dunque, vediamo quali sono le conseguenze per le parti, nel caso di licenziamento disciplinare. Se l’azienda ha più di quindici dipendenti, stando alle novità apportate dal Jobs Act, il datore di lavoro ha l’obbligo, se il licenziamento viene dichiarato illegittimo, di versare al dipendente un minimo di 4 mensilità, alle quali si aggiungono 2 mensilità per ogni anno di servizio prestato dal lavoratore in azienda, ma fino a un tetto massimo di 24 mensilità. Non sussiste più, quindi, l’obbligo di reintegro, prima previsto dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Esso rimane, però, se il giudice rileva che il fatto contestato non sia effettivamente esistito affatto, per cui il lavoratore avrà diritto anche a un indennizzo fino a 12 mensilità, oltre al reintegro sul posto di lavoro. In alternativa, è facoltà del lavoratore chiedere la risoluzione del rapporto e l’indennizzo di quindici mensilità.
Nessun obbligo di reintegro, come d’altronde prima del Jobs Act, ma stesso diritto a ricevere l’indennizzo nelle mensilità sopra indicate, qualora il licenziamento sia avvenuto senza giusta causa all’interno di un’azienda fino a 15 dipendenti.
Quali potrebbero essere le cause scatenanti per licenziare un lavoratore per ragioni disciplinare. In base a quanto indicato dalla giurisprudenza, ciò si ha, ad esempio, se si utilizza il PC o il cellulare aziendali per motivi personali, se non espressamente autorizzati, se si abusa dei giorni di permessi, invocando, ad esempio, motivi sindacali, quando si è in giro per altro, quando il dipendente contravviene alle richieste del datore di lavoro, non permettendo così il raggiungimento degli obiettivi aziendali, quando si svolge altra attività lavorativa nei giorni di malattia, quando si portano all’esterno informazioni riservate o quando si danneggia il materiale aziendale. Anche provocare un incidente con il mezzo aziendale può portare al licenziamento disciplinare.