I pronti contro termine sono prodotti finanziari che solo dagli anni Novanta hanno registrato una certa diffusione in Italia, anche se adesso sono tra quelli più in voga. Si tratta di contratti, che consistono nell’acquisto di titoli a un dato prezzo, con l’impegno di rivenderli all’attuale venditore a una data e a un prezzo prefissato, generalmente più alto. In genere, i titoli sottostanti sono bond governativi o altri di elevata liquidità. La durata del contratto è di breve termine e fino al massimo di un anno, anche se di solito si concentrano nell’arco di un o tre mesi, non di più, se non addirittura di pochi giorni.
In inglese, tali contratti sono definiti patti di riacquisto, perché si tratta, infatti, di impegnarsi a riacquistare a una certa data e a un dato prezzo un pacchetto di titoli appena ceduto. Si capisce come la semplicità dell’operazione abbia reso questi strumenti abbastanza popolari tra i clienti delle banche, perché di fatto il venditore iniziale dei suddetti titoli è una banca, che utilizza i Pct come alternativa alla classica raccolta bancaria tramite conti correnti e conti deposito.
La differenza tra il prezzo di cessione della prima operazione e quello di rivendita successivo determina gli interessi che il cliente della banca matura dall’operazione. Nella pratica, egli si vincola a depositare in un conto vincolato il quantitativo di titoli acquistati, avendo in cambio ceduto liquidità al proprio istituto, un funzionamento del tutto simile a quanto avviene con l’apertura di un conto deposito. Ma attenzione alla differenza, i Pct non sono garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, mentre il cliente rimane semmai tutelato sono con riferimento alla proprietà dei titoli sottostanti.
Per questo, i Pct sono considerati una forma indiretta di raccolta bancaria, anche se di fatto hanno le stesse caratteristiche pratiche della raccolta classica. Vediamo perché un risparmiatore dovrebbe preferire di investire in Pct, invece che in un conto deposito vincolato. Diciamo subito che questi strumenti hanno iniziato ad avere successo, quando i titoli di stato italiani hanno registrato rendimenti sempre più bassi, ovvero in coincidenza con l’ingresso dell’Italia nell’euro. Infatti, essi garantiscono generalmente rendimenti più elevati dei sottostanti BoT o BTp.
Esistono, però, alcune criticità che non vanno sottaciute. La prima è, come dicevamo, che non si tratta di prodotti garantiti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, un fatto che potrebbe spiazzare i piccoli risparmiatori, i quali notoriamente non amano addossarsi elevati rischi. Avvertiamo, però, che i Pct non appartengono di certo alla categoria degli strumenti finanziari d’azzardo, anche perché il venditore iniziale, ovvero la parte che si vincola al riacquisto, è una banca, ossia un investitore istituzionale per fortuna quasi sempre molto affidabile nel nostro paese.
Altro aspetto non positivo è che, a differenza di un conto deposito, chi investe nei Pct deve aprire un conto titoli presso la banca, che comporta il sostenimento di costi, come l’imposta di bollo. Molte banche, pur di raccogliere liquidità si addossano dell’onere, ma bisogna, anzitutto, informarsi che lo faccia e secondariamente chiedere informazioni, qualora si abbia già un conto titoli, se l’operazione comporti lo scatto di una maggiore aliquota applicata sul conto stesso.
Altro svantaggio, sempre nel confronto con i conti deposito, è che le somme non possono essere prelevate in anticipo, rispetto alla scadenza pattuita. Nel caso di un conto deposito, ciò può sempre avvenire, salvo semmai perdere in tutto o in parte gli interessi maturati.
Abbiamo detto che nel caso di fallimento della banca, il risparmiatore conserva i diritti solo sui titoli sottostanti. Ma informatevi che titoli siano, se si tratta di BoT, BTp, CTz, non ci sarebbero problemi, mentre se, come spesso avviene, essi sono obbligazioni emesse dallo stesso istituto, sarebbe quasi una sconfitta in partenza, dato che specialmente a partire dal gennaio del 2016, le nuove normative in materia rendono tali bond a rischio azzeramento per il caso di crac dell’istituto, tranne che non si tratti di obbligazioni garantite, che conservano la loro caratteristica di sicurezza.
Vediamo si fa a calcolare il rendimento di un’operazione di investimento in Pct. Basta applicare tale formula. Per iniziare, 36.500 moltiplicato per il risultato di valore netto incassato alla scadenza meno prezzo pagato per l’acquisto iniziale. Il risultato va poi divsiso per esborso iniziale moltiplicato giorni di durata del finanziamento.
Esempio, il Pct ha durata 3 mesi, quindi, 90 giorni, riguardando un esborso iniziale di 20.000 euro, a fronte dei quali alla scadenza saranno erogati al cliente 20.150 euro, al netto delle spese per le commissioni di 8 euro. Il rendimento sarà pari a 2,9%.
I rendimenti ottenuti dall’operazione sono soggetti alla tassazione del 26%, tranne nel caso in cui i titoli sottostanti siano quelli emessi dallo stato, che continuano a scontare una tassazione più favorevole del 12,50%.
Dunque, la scelta di investire o meno nei Pct deve avvenire sulla base delle spese effettive sostenute per l’operazione, che non sempre sono convenienti rispetto a prodotti più sicuri, come i conti deposito, anche in presenza di un rendimento teorico lievemente maggiore.