Generalmente, quando pensiamo a un prestito, la mente va subito alla banca. Tuttavia, nella quotidianità non sono affatto rari i prestiti tra privati, ossia tra amici, parenti, semplici conoscenti. Essi sono perfettamente legali, purché non siano effettuati a livello professionali, ma restino confinati a casi isolati, altrimenti si tratterebbe di attività bancaria.
Aldilà dei casi di usura, ossia di erogazione di un prestito a tassi superiori ai limiti legali, fissati di trimestre in trimestre dalla Banca d’Italia, in base all’andamento dei tassi e del tipo specifico di finanziamento, un prestito tra due privati potrà avvenire, se redatto in forma scritta, non necessariamente facendo firmare il contratto dal notaio. E’ sufficiente che le parti appongano la loro firma e che dal contratto risulti la dicitura “mutuo” (monetario, ovviamente) e se esso viene erogato a titolo oneroso o meno. Se il finanziamento avviene dietro il pagamento di un interesse, è obbligatorio specificarne la misura percentuale, affinché sia evidente per la legge se si tratti di un prestito a tasso usuraio o no.
Esistono diverse ragioni per preferire spesso un privato a una banca per ottenere un prestito. Anzitutto, un istituto eroga un finanziamento dietro un iter complesso e formale, che presuppone il rilascio di garanzie (di reddito, personali, reali). Ma come sappiamo, non sempre ciò è possibile, o perché non si dispone di un reddito dimostrabile o perché esso risulta insufficiente o ancora, perché si hanno alle spalle problemi per il rimborso di precedenti prestiti, essendo stati così segnalati al Crif come cattivi pagatori o protestati.
Tra i privati, l’ottenimento è più immediato, anche perché si tratta, in genere, di amici o parenti, quindi, di persone che conoscono la situazione finanziaria, senza il bisogno di formalità varie. Tuttavia, esistono anche svantaggi da queste pratiche. Per prima cosa, chi richiede un finanziamento a titolo oneroso non potrà scaricare dalle imposte gli interessi pagati nell’anno solare. E chi eroga il prestito, dovrà affrontare determinate spese per il pagamento delle imposte: il 3% sul capitale, lo 0,50% sulle garanzie e il 2% come imposta ipotecaria.
Ultimamente, però, sta prendendo sempre più piede una forma già diffusa all’estero di prestiti tra privati e che si rende possibile oggi, grazie al boom di internet. Parliamo del “social lending” o anche del “peer-to-peer”.
In pratica, un sito (tra cui Boober, Prestiamoci e Smartika) mette in collegamento un gruppo di potenziali finanziatori con soggetti che richiedono un prestito. Ciascuno di loro resta anonimo verso la controparte, anche se è registrato al sito, i cui responsabili ne conoscono l’identità.
Una volta iscritto, un potenziale finanziatore stabilisce, in genere, a quale tasso intende prestare denaro. Viceversa, chi chiede denaro, deciderà se accettare il tasso a cui gli sarà prestato, il quale sarà il risultato della media tra i vari tassi offerti dai prestatori.
Al fine di abbassare al minimo i rischi, un finanziamento di un soggetto viene ripartito tra diversi debitori, in modo che se qualcuno mostrasse problemi nel rimborsare il credito concesso, la perdita non graverà interamente su un creditore, ma su decine di persone. Il sito, che funge da mediatore, attingerà per una certa percentuale rispetto al prestito erogato e al contempo si occuperà di versare il denaro prestato al debitore e di riscuotere periodicamente le rate, versandole ai creditori.
Una forma peculiare di “peer-to-peer”, regolamentata e accettata ufficialmente anche dalla Banca d’Italia, è il cosiddetto “crowdfunding”, letteralmente “finanziamento di massa”. La logica insita in questo tipo di rapporto creditizio è la stessa, ma la differenza sta nelle diverse finalità. Infatti, qui si finanziano progetti imprenditoriali o di rilevanza sociale. Il potenziale creditore potrà così decidere di finanziare un progetto che ritiene essere valido, anche con una cifra relativamente molto bassa e sempre dietro il pagamento di un interesse.
Il “crowdfunding” sta diventando sempre più popolare anche tra i media, perché consente di finanziare progetti di ricerca e sviluppo (si pensi a iniziative in campo scientifico) o di imprenditoria, che spesso non hanno facile accesso al circuito “ufficiale” del credito.
In definitiva, il “social lending” consente ai soggetti deboli del mercato del credito di ottenere prestiti a condizioni relativamente più agevoli di quelle che potrebbero essere loro imposte dalle banche o società finanziarie. Infatti, i tassi applicati ai relativi prestiti risultano essere spesso anche molto inferiori a quelli richiesti dal sistema bancario, mediamente compresi tra il 7% e il 9%. Per quanto siano ancora bassi i volumi intermediati con queste pratiche, in valore assoluto, i tassi di crescita sono esorbitanti, pari anche al 100% annuo o anche più. Nel 2013, il “peer-to-peer” avrebbe consentito prestiti nel mondo per 1,5 miliardi di dollari.
Ovviamente, il creditore non presta denaro sulla parola, ma ha dalla sua la stipula di un contratto, in cui la piattaforma online rappresenta il mediatore. Si calcola che il tasso di restituzione sia intorno al 99%, più alto del sistema bancario, a conferma che il fattore fiducia sia alla base di questo innovativo metodo di erogazione del credito tra privati.