La prestazione di lavoro occasionale è un rapporto di lavoro saltuario, non continuativo, che un lavoratore intrattiene con un committente, sia esso un’impresa che un privato.
Esso si configura come un rapporto di lavoro non subordinato, per cui il collaboratore ha libertà di gestione degli orari e dell’organizzazione di lavoro. Affinché il rapporto sia considerato una prestazione occasionale, esso non può superare con lo stesso committente i 30 giorni nell’arco dello stesso anno solare, né eccedere complessivamente (anche sommando più committenze) i 5.000 euro netti, pari a 6.666 euro lordi, se si vuole evitare il pagamento dei contributi Inps.
Esempio, se un collaboratore lavora per due committenti durante lo stesso anno solare, egli potrà svolgere fino a 30 giorni di lavoro con l’uno e altri 30 al massimo con l’altro, fino a un totale di 60 giorni.
Altra questione attiene, invece, l’esenzione contributiva all’Inps. Anche se i committenti sono più di uno, l’importante sarà non superare complessivamente i 5000 euro netti o 6666 euro lordi nell’anno solare, altrimenti per la quota eccedente si dovranno versare i contributi previdenziali, ripartiti tra i vari committenti, in proporzione ai giorni di lavoro commissionati in eccesso. Ciò avverrà iscrivendosi alla Gestione separata dell’Inps, che rispetto al rapporto di lavoro subordinato prevede un’aliquota complessiva minore, poco più del 27%, anziché il 32,7%, di cui i due terzi a carico del committente e un terzo del collaboratore. Il rapporto, tuttavia, potrà ancora definirsi occasionale, cosa che non è quando lo stesso committente supera il periodo dei 30 giorni. In quest’ultimo caso, infatti, il requisito dell’occasionalità viene meno e sarebbe più appropriato che il committente e il collaboratore dessero vita a un contratto di collaborazione a progetto, detto anche co.co.pro.
Il collaboratore avrà sempre l’obbligo di emettere ricevuta con la ritenuta d’acconto del 20%, sia egli titolare di Partita IVA o meno. Tale aspetto è importante ai fini fiscali. Vediamo come si emette e perché è sempre utile dichiare il reddito.
La ricevuta deve contenere ai fini fiscali la data e il numero, i dati del collaboratore (incluso il codice fiscale), i dati del committente (inclusi codice fiscale e partita IVA), la descrizione dell’attività prestata, il compenso lordo, l’importo della ritenuta d’acconto e il compenso netto. La ricevuta va inviata al committente, che provvederà contestualmente al pagamento dell’importo netto al collaboratore, possibilmente in modalità tracciabile, come un bonifico bancario e al versamento dell’imposta allo stato entro il quindicesimo giorno del mese successivo alla data della ritenuta.
Da un punto di vista pratico, però, si è soliti fare altrimenti: il committente prepara la ricevuta per conto del collaboratore e versa il dovuto.
Qualora il collaboratore fosse titolare di partita IVA, invece, l’importo gli sarà pagato al lordo ed avrà anche la possibilità di dedurre i costi dalle imposte, nonché di fare emergere il relativo credito in sede di dichiarazione fiscale, che si farà valere verso lo stato. Per il committente, invece, la ritenuta d’acconto potrebbe rivelarsi più onerosa, ma semplicemente per il fatto che dovrà provvedere egli stesso al versamento del 20% al Fisco.
Essendo il contratto di collaborazione occasionale un rapporto di lavoro non subordinato, l’anno successivo, entro il mese di settembre, il collaboratore dovrà dichiarare il reddito con il Modello Unico e non tramite il 730. Anche nel caso in cui non dovesse sussistere l’obbligo di dichiarazione, ad esempio, se non si sono superati i limiti previsti dalla legge e il committente è stato unico, è sempre consigliabile presentare la dichiarazione dei redditi, perché il collaboratore, in assenza di altre fonti di reddito o qualora questi ultimi fossero risibili (qualche migliaio di euro), potrà ottenere il rimborso delle trattenute versate dal committente al Fisco. Ovviamente, se si sommano altri redditi, tali per cui l’aliquota media da corrispondere fosse superiore all’imposta già complessivamente versata, il collaboratore dovrà provvedere a saldare la differenza in sede di dichiarazione dei redditi.
La prestazione occasionale è diventata negli ultimi tempi abbastanza diffusa, specie tra i giovani, ma non solo. Essa è spesso il modo per uno studente per guadagnare qualcosa, senza impegnarsi in modo formale con un’azienda e senza avere obblighi temporali e di presenza in un luogo fisico, dove svolgere tali attività. Molti di questi rapporti, infatti, sono utilizzati in tele-lavoro, ossia il collaboratore svolge la sua mansione a domicilio, seguendo le finalità e le indicazioni fornite dal committente per il raggiungimento di un determinato risultato.
Ma anche coloro che già posseggono un rapporto di lavoro subordinato o di altra natura trovano spesso conveniente ricorrere alla prestazione occasionale. Si pensi al caso di un ingegnere informatico a cui viene chiesto da un’azienda o un libero professionista di gestire o di creare un sito web. La mansione non si configura quale reale rapporto di lavoro, ma in qualità di collaborazione occasionale. In più, si evita così di aprire la partita IVA, i cui costi sarebbero tali da disincentivare l’origine del rapporto stesso o la sua regolarizzazione.
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