Il contratto d’opera è un accordo con cui una parte si obbliga dietro corrispettivo ad eseguire un lavoro in favore di un’altra, secondo le modalità fissate nel contratto medesimo e stabilite dal committente.
In sostanza, le parti sono due: il prestatore d’opera e il committente. Il primo s’impegna ad eseguire un lavoro in favore del secondo, mettendo a disposizione la propria prestazione ed eventualmente quella dei propri familiari, senza vincolo di subordinazione. Egli è tenuto a rispettare le condizioni ad opera d’arte e ad apportare le modifiche necessarie entro un termine congruo, nel caso in cui il lavoro eseguito sia difforme da quello stabilito per contratto.
Il codice civile disciplina questo tipo di contratto agli articoli 2222 e seguenti. Se è trascorso infruttuosamente il termine per modificare l’opera secondo le modalità prescritte nel contratto, il comittente potrà recedere da quest’ultimo e richiedere il risarcimento del danno eventualmente arrecatogli.
Se l’opera presenta vizi o difformità, il comittente ha tempo 8 giorni dalla scoperta per denunciarli e potrà chiedere o di eliminare tali incongruenze o di ridurre il prezzo pattuito. Inoltre, egli potrà pretendere il risarcimento del danno, se tali vizi risultano derivanti da una condotta colposa del prestatore d’opera, oppure il recesso dal contratto se essi rendono l’opera del tutto inadatta all’uso per i vizi o le difformità.
Se l’opera viene accettata, anche in forma tacita, ciò libera il prestatore dalla garanzia per i vizi, salvo i casi di vizi non riconoscibili o dolosamente occultati.
Ovviamente, anche il committente ha obblighi verso il prestatore d’opera, il più importante dei quali è la corresponsione del prezzo pattuito. Qualora non fosse stato indicato alcun prezzo nel contratto, si farà riferimento alle tariffe professionali o agli usi. In mancanza, potrà essere adito il giudice a determinare il compenso.
Il committente può anche recedere dal contratto in qualsiasi momento, anche quando l’opera è in esecuzione, con l’obbligo di indennizzare il prestatore delle spese, del lavoro eseguito e dell’eventuale mancato guadagno. Il recesso potrà avvenire anche prima dell’inizio dei lavori, senza alcun danno di spesa a carico del prestatore.
Da un punto di vista giuridico, il contratto d’opera presenta analogie sia con il contratto di appalto, sia con quello di lavoro subordinato. Nel primo caso, la distinzione essenziale per la giurisprudenza è rilevata dalla personalità del lavoro del prestatore d’opera. In sostanza, se quest’ultimo esegue la prestazione avvalendosi quasi esclusivamente del suo lavoro o di quello dei familiari, senza organizzazione di mezzi, allora siamo all’interno della fattispecie del contratto d’opera. Al contrario, se l’esecuzione avviene avvalendosi del lavoro altrui, allora possiamo parlare di contratto di appalto.
Da un punto di vista concreto, quindi, possiamo affermare che si ha un contratto d’opera, quando il prestatore è un piccolo artigiano, un commerciante, a capo di una piccola società senza organizzazione di servizi o di tipo imprenditoriale. Viceversa, se si hanno questi elementi, come nel caso di società organizzate e magari di certe dimensioni, si può parlare di appalto.
Altra distinzione va fatta con il contratto di lavoro subordinato. Qui, la vera differenza risiede nell’assenza di un vincolo di subordinazione. In pratica, un lavoratore subordinato è tenuto a rispettare i vincoli imposti dal suo datore per l’effettuazione della prestazione, come gli orari e il luogo del lavoro. Il prestatore d’opera, al contrario, è solamente tenuto a realizzare l’opera, così com’è stata prescritta nel contratto. E’, tuttavia, vero che nella quotidianità, spesso i contratti di lavoro subordinati vengono dissimulati da quelli d’opera, in modo da aggirare le rigidità dei primi e di garantire il datore di lavoro dall’applicazione della relativa disciplina.
Esiste una fattispecie diversa dal contratto d’opera sopra descritto, ossia quello di tipo intellettuale. Finora, abbiamo abbozzato le caratteristiche essenziali di un contratto di tipo manuale, dove il prestatore d’opera si obbliga ad effettuare una prestazione secondo le indicazioni fornite dal committente e inserite nel contratto. In questo caso, si dice anche che vi sia un obbligo di risultato, tant’è vero che il committente è garantito dalla presenza di vizi o difformità dell’opera.
Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, invece, il prestatore svolge una professione garantita e affinché egli possa pretendere il corrispettivo, è tenuto all’iscrizione all’albo. Il limite vale per le società di capitali, ma non di persone, visto che in queste ultime non si ha il rischio dell’impersonalità del lavoro svolto.
L’articolo 2233, comma secondo, del codice civile prescrive che il corrispettivo deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. In sostanza, il legislatore ha voluto tutelare il prestatore, riconoscendo l’importanza del lavoro intellettuale prestato. Sono nulli i compensi pattuiti dagli avvocati con il cliente, se non redatti in forma scritta.
La differenza sostanziale col contratto d’opera manuale risiede nell’assenza di obbligo di risultato, sostituito con un obbligo di soli mezzi. In pratica, il prestatore si obbliga ad effettuare il lavoro con tutta la dovuta diligenza, ma non potrà assicurare anche il raggiungimento del risultato. Esempio: l’avvocato si obbliga col cliente a rappresentare i suoi interessi in una causa legale, ma non assicura che la vincerà. In più, la giurisprudenza ha stabilito che il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave. La Corte di Cassazione, sez.III, sentenza 18 aprile 2007, tuttavia, ha precisato che non si tratta di un’esclusione della responsabilità e sempre la giurisprudenza tende a interpretare in maniera restrittiva tale limitazione della responsabilità, magari considerando colpa lieve quella relativa ai casi di una certa difficoltà.
Fac Simile Contratto Prestazione d’Opera