Tra le diverse tipologie previste dalla legge per i contratti di locazione di immobili a scopo abitativo, esiste la forma del canone concordato. Si tratta dell’alternativa più conveniente rimasta a disposizione degli inquilini per affittare casa, dopo la fine dell’equo canone a inizio anni Novanta.
Il contratto di locazione a canone concordato è fissato nella durata di tre anni e risulta essere rinnovabile per altri tre anni, a differenza del contratto a canone libero, che prevede l’adozione della formula 4+4. Il canone non è stabilito liberamente dalle parti, ma il tetto massimo è fissato dagli accordi comunali tra le associazioni di rappresentanti dei proprietari di case e quelle che tutelano i diritti degli inquilini.
Queste possono stipulare nell’ambito territoriale accordi, finalizzati a porre un tetto al canone per metro quadrato degli immobili locati a scopo abitativo, in base alla zona. Tuttavia, l’ambito operativo di questi accordi non si limita al solo aspetto economico, ma può prevedere anche la fissazione di condizioni più favorevoli per gli inquilini, vuoi in termini di durata del contratto, di tempi per l’invio della comunicazione di mancato rinnovo alla scadenza.
Ovviamente, affinché il contratto a canone concordato abbia un senso, esso deve prevedere un canone più basso rispetto ai prezzi di mercato. Nei comuni in cui tali contratti sono molto diffusi, per lo più nel Centro-Nord del paese, le distanze con i prezzi di mercato non sono eccessive, anche perché altrimenti gli accordi rimarrebbero sulla carta, dato che i proprietari degli immobili non troverebbero alcuna convenienza a locarli.
A livello nazionale sono state fissate alcune norme per incentivare il ricorso a questo tipo di contratto. Per esempio, per i proprietari che si avvalgono della cedolare secca quale forma di tassazione dei canoni riscossi nell’anno solare, è previsto il pagamento di un’aliquota del 15% (10% per il periodo che va dal 2014 al 2017), anziché del 21% prevista per gli altri contratti. L’abbattimento si è avuto dal 2014, abbassando la precedente aliquota agevolata del 19%.
La cedolare secca si applica ai contratti di locazione a canone concordato nei comuni con carenze abitative, individuati nei seguenti capoluogo di provincia e zone limitrofe: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia.
Un effetto collaterale positivo della cedolare secca sta nel fatto che non si è nemmeno sottoposti alle addizionali Irpef comunali e regionali e si è esenti dal pagamento dell’imposta di bollo, di registro, comprese quelle per le risoluzioni e le proroghe del contratto.
Il trattamento fiscale agevolato è previsto anche per chi si sottopone alla tassazione ordinaria, quella Irpef. In quel caso, infatti, il proprietario pagherà le imposte sul reddito sul 59,5% dei canoni riscossi e non sul 95%, come avviene per quelli rientranti nei contratti ordinari.
Allo stesso tempo, l’imposta di registro viene diminuita del 30% e i comuni hanno la possibilità di abbassare l’IMU al 4 per mille sull’immobile locato con un contratto a canone concordato, una riduzione molto influente, che potrebbe tradursi nel più elevato incentivo per il proprietario, dato l’alto livello della tassazione immobiliare. Infatti, l’aliquota sulle seconde case oscilla oggi da un minimo del 7,6 per mille a un massimo dell’11,6 per mille, mentre il 4 per mille sarebbe la tassazione mediamente prevista sulle prime case.
Il ricorso a questo potente incentivo, però, potrebbe essere limitato dalla scarsa disponibilità finanziaria dei comuni, i quali dovrebbero, in ogni caso, versare allo stato una quota relativa alla tassazione prevista per le seconde case.
Dal canto suo, l’inquilino non solo potrà avvalersi di un contratto meno oneroso, mediamente con un canone del 25% più basso di quello vigente sul mercato sugli immobili delle stesse caratteristiche e nella zona, ma potrà anche usufruire delle apposite detrazioni dell’imposta, pari a 495,80 euro per i redditi fino a 15.493,71 euro o a 247,90 euro per i redditi compresi tra i 15.493,71 e i 30.987,41 euro.
Ancora più sostanziosi sono i risparmi previsti per i lavoratori dipendenti, che si trasferiscano in un comune distante almeno 100 chilometri dalla propria abitazione principale, laddove si svolge la sua attività lavorativa o nelle zone limitrofe, in possesso di un contratto di locazione a canone concordato e purché il trasferimento sia avvenuto nei 3 anni precedenti alla sua richiesta. In questi casi, per i soli primi 3 anni dal trasferimento della residenza, il lavoratore avrà diritto a una detrazione d’imposta di 991,60 euro, se il suo reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro e di 495,80 euro, se esso è compreso tra i 15.493,71 e i 30.987,41 euro. Per gli inquilini, le detrazioni non sono cumulabili, ma essi potranno scegliere quella più conveniente.
Tra i comuni dove si registra una forte diffusione di questi contratti vi è Grosseto, in cui rappresentano il 90% del totale dei contratti di locazione. Altre città hanno avuto molta meno fortuna, come Milano, dove questi contratti rappresentano appena il 5% del totale.
Fac Simile Contratto di Locazione a Canone Concordato