La cedolare secca è un regime fiscale facoltativo, che può essere usufruito da un locatore di un immobile a scopo abitativo, a sua scelta. Tale regime si sostituisce a quello ordinario ai fini Irpef (quadro RB del Modello Unico) ed esclude il pagamento dell’imposta di bollo e di registro, in sede di registrazione e di rinnovo del contratto.
La cedolare secca si applica a tutti gli immobili ad uso abitativo dalle categorie A/1 fino ad A/11 e relative pertinenze, ad esclusione della categoria A/10, degli uffici e degli studi professionali. L’opzione può essere esercitata solo dalle persone fisiche private e non anche da persone giuridiche, enti, professionisti, imprese. Quanto agli inquilini, essi non possono essere conduttori che agiscano nell’ambito di un’attività di impresa o di lavoro autonomo, mentre è ammesso questo regime fiscale nei confronti di immobili locati a cooperative edilizie per la locazione o enti senza scopo di lucro, purché gli immobili siano sublocati agli studenti universitari e dati a disposizione dei comuni, rinunciando all’aggiornamento del canone di locazione.
Con la cedolare secca, il locatore di un immobile paga un’aliquota fissa del 21% sull’intero importo del canone di locazione. Per i contratti di locazione a canone concordato, è stata prevista un’aliquota agevolata del 10%. Parliamo di comuni e aree metropolitane ad alta intensità abitativa, individuati dal Cipe e che presentano una carenza di immobili ad uso abitativo. Tra questi, troviamo Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e comuni confinanti.
Successivamente al quadriennio 2014-2017, però, l’aliquota è stata prevista in rialzo per questi ultimi dal 10% al 15%. L’aliquota del 10% si applica dall’1 gennaio 2014 e fino al 31 dicembre del 2017 e vale per i contratti del tipo 3+2.
Il locatore ha la facoltà di scegliere il regime al quale desidera essere sottoposto sia in fase di registrazione del contratto, sia ogni anno, inviando all’inquilino relativa comunicazione, con la quale lo si informa della rinuncia ad aggiornare il canone di locazione, secondo gli indici Istat, anche se ciò era stato concordato con il contratto. In sostanza, la tassazione presumibilmente più favorevole per il locatore determina un vantaggio anche per il conduttore, in quanto questi si vedrà bloccato per l’anno in corso l’importo del canone.
In ogni caso, parliamo di una tassazione generalmente più favorevole al locatore di quella ordinaria. Quest’ultima, infatti, prevede che il canone di locazione sia sottoposto per il 95% alle aliquote Irpef, che variano da un minimo del 23% a un massimo del 43%. In più, come abbiamo detto, non si pagano le imposte di bollo e di registro, che generalmente vengono scaricate sul canone, facendone lievitare l’importo e determinando un aggravio per l’inquilino, così come il reddito da locazione non è sottoposto nemmeno alle addizionali regionali e comunali Irpef.
Generalmente, quindi, la cedolare secca dovrebbe essere più favorevole della tassazione Irpef, ma non sempre. Risulta essere bene, infatti, capire bene quale sia il proprio reddito nell’anno e quale regime potrebbe comportare un risparmio di imposta. Facciamo un esempio: se un locatore dichiarasse un reddito complessivo, poniamo, reddito da lavoro dipendente più il canone di locazione, di 7000 euro all’anno, di cui 3600 derivanti proprio dalla locazione, ai fini Irpef non dovrebbe versare alcuna imposta, perché il valore delle detrazioni da lavoro dipendente supera l’imposta lorda che egli dovrebbe pagare allo stato. Pertanto, con il regime ordinario, il locatore non verserebbe un solo centesimo allo stato sui 3.600 euro incassati dal contratto nell’anno, mentre se si avvalesse del regime ordinario della cedolare secca, egli dovrebbe pagare 756 euro, ossia il 21% sui suddetti 3.600 euro.
Al contrario, se il locatore disponesse di altri redditi elevati e soggetti al pagamento dell’Irpef, egli avrebbe una convenienza palese ad avvalersi della cedolare secca.
Esempio, se si dichiara un reddito complessivo di 80000 euro all’anno, di cui 3.600 relativi al canone di locazione, con il regime ordinario (Irpef), l’aliquota da pagare sul 95% di quest’ultimo sarebbe del 43%, per cui il locatore dovrebbe versare allo stato ben 1470,60 euro e senza tenere conto anche delle addizionali comunali e regionali, oltre all’imposta di bollo e di registro. Con la cedolare secca, invece, sarebbe tenuto a pagare solamente i 756 euro di cui sopra, con un risparmio di imposta di (1470,60 – 756) = 714,60 euro.
In generale, quindi, possiamo affermare che la cedolare secca premia i locatori in possesso anche di altri redditi e diventa sempre più favorevole, man mano che questi ultimi diventano elevati. Al contrario, conviene avvalersi del regime ordinario dell’Irpef, quando non si hanno altri redditi diversi da quelli derivanti dalla locazione dell’immobile o anche quando questi fossero modesti, tali da prevedere un’aliquota Irpef netta inferiore al 21% (10% per i canoni agevolati) della cedolare secca.
Risulta essere evidente che quanto sopra detto vale ancora di più per i contratti di locazione a canone concordato, in quanto l’aliquota del 10% la rende ancora più favorevole per chi possegga redditi medio-alti e abbassa l’asticella, sotto la quale conviene tenersi il regime ordinario.
Infine, potrebbe risultare più favorevole il regime ordinario (Irpef), nel caso in cui si prevede un tasso di inflazione moderatamente alto, tale da più che annullare il beneficio della minore tassazione con la cedolare secca, visto che il canone verrebbe bloccato per i dodici mesi.