Quante volte vi sarà capitato di trovarvi dinnanzi a un venditore o a un libero professionista, che al momento di pagare, vi fornisce due prezzi, il primo, più basso, per il caso di pagamento senza fattura, il secondo, naturalmente più alto, perché con la fattura ovviamente includerà anche l’IVA, la cui aliquota più alta è fissata oggi al 22%. Diciamocelo francamente, sono in pochi a optare per il secondo caso, in quanto tutti preferiscono naturalmente risparmiare. Ebbene, la cosa che dobbiamo sapere e dire una volta per tutte è che il rivenditore o chi altri stia effettuando la vendita di un bene o di un servizio non ha alcuna possibilità di offrire al cliente soluzioni alternative. Deve pretendere il solo pagamento dichiarato in fattura ed è obbligato ad emettere quest’ultimo o lo scontrino fiscale. Non esiste, in sostanza, la facoltà del rivenditore o del libero professionista di decidere se pagare o meno l’IVA. Si tratta con ogni evidenza di un comportamento, che questi mette in atto nei confronti del cliente al solo fine di spingerlo a rinunciare ad ottenere la fattura o il rilascio dello scontrino fiscale.
In realtà, il cliente può denunciare questi comportamenti, per esempio, chiamando un agente della Guardia di Finanza, che provvederà a porre fine a tali irregolarità, imponendo al rivenditore una sanzione e, nei casi più gravi e di recidiva, costringendolo alla chiusura dell’attività per un periodo minimo di 15 giorni.
Dunque, resa chiarezza sul fatto che la fattura debba sempre essere emessa, in relazione al pagamento di una prestazione o relativo alla vendita di un bene, chiariamo anche che il cliente è anch’egli soggetto a punizioni per i casi, in cui non richieda lo scontrino o la fattura o l’accetti, anche se l’emissione è irregolare. Il caso tipico è quello del rivenditore che chiede di emettere la fattura per un importo inferiore a quello effettivamente percepito. Ebbene, il cliente rischia una sanzione di 258 euro per questi casi. Ciò si verifica, però, quando non abbia ricevuto la fattura al momento della consegna della merce o della prestazione del servizio, così come nemmeno nei 4 mesi successivi. A quel punto, avrà 30 giorni di tempo per denunciare l’accaduto all’Agenzia delle Entrate. I 30 giorni decorrono, invece, dalla data di ricevimento della fattura errata, ovvero che riporti quantità, imponibili, imposta, errori di calcolo o di altra natura e che influenzino l’adempimento dell’imposta. Tali errori devono essere rettificati con l’emissione di una nota di credito da parte del cedente, ma se questo non lo fa, il cessionario ha 30 giorni di tempo per la denuncia, sostenendo al contempo l’assolvimento dell’imposta a sue spese.
Il cedente di beni o servizi, invece, rischia una sanzione, che varia da una a due volte l’importo dell’imposta evasa, in relazione all’imponibile non dichiarato. Nel caso di operazioni non imponibili IVA o esenti, la sanzione è molto più bassa, variando dal 5% al 10% del corrispettivo omesso o non integralmente registrato.
Se la mancata emissione della fattura viene denunciata all’Agenzia delle Entrate, però, bisogna farlo entro trenta giorni dai quattro mesi dalla data dell’evento, avendo anche cura di redigere per iscritto quanto accaduto e allo stesso tempo bisognerà anche presentare un’autofattura in doppio esemplare, provvedendo al pagamento dell’IVA non versata da chi era obbligato a farlo, utilizzando allo scopo il codice tributo 9399.
Come vediamo, le norme appaiono abbastanza punitive per coloro che denunciano un comportamento illecito, i quali paradossalmente sono caricati di oneri, che non sarebbero loro spettanti altrimenti. Ciò, è inevitabile, spinge molte persone a non denunciare eventi di questo tipo, che accadono in ogni angolo del nostro paese e in ogni momento, riguardando un po’ tutte le categorie dei rivenditori di beni e servizi.
In cambio, però, il cliente che effettua il pagamento avrà il diritto di rivalersi sul cedente, che resta il vero obbligato verso il Fisco. Tuttavia, per rivalersi si sarà costretti a intentare causa verso questi, ovvero a sostenere nuove spese, legali, in attesa di essere risarcito di un costo, che non avrebbe avuto il dovere di pagare.
La ragione di una tale previsione, all’apparenza abbastanza stramba è duplice. Anzitutto, si disincentivano eventuali false denunce, ovvero segnalazioni effettuate contro un rivenditore o un libero professionista al solo scopo di metterlo in difficoltà per una qualche ragione.
Inoltre, questo il ragionamento del legislatore, il cliente che denuncia una mancata fatturazione si starebbe accollando di pagare un onere, che formalmente non avrebbe dovuto sostenere, ma che nella pratica sarebbe ricaduto ugualmente su di lui, perché è ovvio che l’IVA viene sempre trasferita sul prezzo finale.
Infine, altra questione riguarda la fatturazione falsa, ovvero relativa a transazioni mai avvenute. Qui rientriamo nel campo di applicazione del diritto penale, in altri termini, si rischia la galera. Si tratta di espedienti spesso ricercati per abbellire i bilanci societari o, al contrario, per abbassare il più possibile l’imponibile fiscale.