In questa guida spieghiamo come funziona il licenziamento collettivo e quale risulta essere la procedura.
A partire dal 2017 non è più in vigore l’indennità di mobilità, che è stata sostituita dalla NASPI, Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, un sostegno che è dovuto anche ai lavoratori licenziati nell’ambito di una procedura collettiva. Va detto che già tra il 2013 e il 2016, in previsione proprio dell’entrata in vigore della NASPI, l’indennità di mobilità era stata progressivamente ridotta.
Quanto alle procedure di licenziamento collettivo, la legge n.223/91 non è stata sostanzialmente modificata, se non nella parte in cui consente alle imprese di comunicare obbligatoriamente l’elenco dei lavoratori licenziati alla Direzione Territoriale del Lavoro e ai sindacati entro sette giorni e non più necessariamente contestualmente al licenziamento. Per il resto, gli obblighi di comunicazione, l’esame congiunto con i sindacati e l’invio della lettera ai singoli lavoratori licenziati con la quale li si avvisa della cessazione del rapporto di lavoro restano intatti.
Dunque, da gennaio 2017, i lavoratori licenziati nell’ambito di una procedura collettiva godono dello stesso beneficio assistenziale dei lavoratori oggetto di licenziamento individuale. Venendo meno l’indennità di mobilità, le aziende soggette alla CIGS, Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, non sono più tenute a versare all’INPS il contributo d’ingresso di mobilità, pari al trattamento mensile moltiplicato per sei e per il numero dei lavoratori licenziati. Esso viene sostituito dal ticket di licenziamento, che è pari al 41% del massimale mensile dell’indennità. Chiaramente vengono meno anche gli incentivi alle assunzioni riconosciuti ai datori di lavoro, che inseriscono in organico lavoratori in mobilità e che erano fino alla fine del 2016 pari al 50% dell’indennità di mobilità spettante al lavoratore.
Vediamo quali sono le concrete differenze tra l’indennità di mobilità e la NASPI. La prima era più favorevole al lavoratore licenziato, perché prima della riforma del 2012 garantiva loro un sostegno al reddito fino a 36 mesi, 48 mesi per i dipendenti assunti nel Mezzogiorno d’Italia. L’attuale assistenza erogata ha una durata massima prevista per 24 mesi. Tuttavia, va detto che la riforma del 2012 è andata nel senso di razionalizzare l’intero sistema di assistenza ai lavoratori per i casi di licenziamento, ponendo termine, o almeno un freno, agli abusi dei datori di lavoro, che in molti caso si sono avvalsi dell’indennità di mobilità per mettere in atto processi di riorganizzazione produttiva, invece che per affrontare effettive situazioni di crisi.
La Corte di Cassazione ha ribadito con sentenza n.25554 del 2016 l’importanza di fornire puntuali indicazioni sui criteri di scelta dei lavoratori licenziati da parte dell’impresa, ai fini della legittimità del procedimento, Il datore di lavoro, anche nel caso in cui dovesse avvalersi di un unico criterio, non può comunicare formule generiche e l’individuazione dei lavoratori da licenziare non può essere subordinata a una sua pura discrezionalità. Lavoratori e rappresentanti sindacali hanno il diritto di conoscere i criteri adottati e di monitorarne l’applicazione. Senza il rispetto di questo obbligo di comunicazione puntuale, il licenziamento collettivo diventa illegittimo.
Nella sentenza, la Cassazione ha eccepito la mancata di trasparenza del datore di lavoro, che ha ostacolato l’esercizio del controllo da parte dei sindacati. Questo perché la legge consente al lavoratore licenziato di contestare la scelta aziendale, se ritiene che essa non abbia rispettato la puntuale applicazione dei criteri individuati per i licenziamenti. La sanzione per l’infrazione delle procedure previste per i licenziamenti collettivi consiste nel comminare un’indennità di risarcimento, pari a un minimo di 12 mensilità e fino a un massimo di 24 mensilità rispetto all’ultima retribuzione globale di fatto, tenuto conto dell’anzianità di servizio del lavoratore, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Vediamo di preciso cosa si intende per licenziamento collettivo e quando si attiva la procedura. Essa scatta quando l’impresa utilizza la Cassa Integrazione Guadagni e ritiene di non essere in grado di reimpiegare tutti i lavoratori licenziati, oltre che di non potere utilizzare vie alternative. In più, l’impresa con più di 15 dipendenti, dirigenti inclusi, deve decidere di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, in vista della chiusura dell’attività o della ristrutturazione della produzione.
La procedura ha una durata massima di 45 giorni, al termine dei quali l’azienda deve comunicare all’Ufficio Provinciale del Lavoro il raggiungimento o meno di un accordo con le organizzazioni sindacali. Nel caso di mancato accordo, l’Ufficio Provinciale del Lavoro ha il potere di convocare le parti, al fine di trovare un’intesa. Questa fase ha durata massima di 30 giorni, al termine dei quali l’azienda può procedere ai licenziamenti, anche in assenza di un accordo.
Quanto ai criteri da utilizzare nella scelta dei lavoratori da licenziare, bisogna utilizzare quelli indicati nella contrattazione collettiva. Essi prevedono che si debba tenere conto nel licenziare dei carichi di famiglia, dell’anzianità anagrafica del lavoratore, delle esigenze tecniche, produttive e organizzative dell’impresa.