Ogni anno le imprese sono tenute a procedere alla valutazione delle rimanenze o giacenze di magazzino. Si tratta delle merci rimaste invendute entro il 31 dicembre, sia che si trovino presso la sede aziendale, sia presso terzi. Va detto per contro che vanno esclusi i beni esistenti presso le sedi della società, ma appartenenti giuridicamente a terzi.
La prima operazione che bisogna compiere, una volta concluso l’esercizio, è di raggruppare i beni in categorie omogenee sulla base della loro natura merceologica, del valore, le merci devono avere un contenuto economico simile.
Il codice civile distingue i beni in materie prime, ovvero materiali acquisiti da terze economie e finalizzati ad essere trasformati in prodotti finiti, materie sussidiarie, ossia merci destinati a essere utilizzate per il completamento dei prodotti, materiali di consumo, cioè utilizzati indirettamente nella produzione, merci direttamente destinate alla rivendita; prodotti in corso di lavorazione, cioè beni che non hanno ancora completato il ciclo di produzione e che non possiedono, pertanto, una precisa natura; semilavorati, ossia simili ai precedenti, ma che pur non avendo concluso il ciclo di produzione, hanno raggiunto una precisa identità, prodotti finiti, ossia pronti ad essere immessi in commercio, lavori in corso su ordinazione, ossia opere in parte realizzate su ordine di un soggetto committente, ma che al termine dell’esercizio non risultino ancora concluse.
Per quanto sopra accennato, vanno indicate come scorte di magazzino tutte le merci di cui l’impresa è proprietaria, che siano o meno fisicamente presenti nel magazzino dell’azienda, in viaggio, presso terzi, che si tratti di beni ricevuti, ma per i quali non è stata ancora ricevuta la fattura.
A questo punto, si apre un capitolo un po’ complesso sulla valutazione di queste rimanenze di magazzino. L’art.2426 del codice civile recita che tali beni vanno valutati al costo di acquisto o di produzione, inclusi tutti i costi direttamente imputabili al prodotto, ovvero in base al minore valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. Non possono essere compresi anche i costi di distribuzione.
Il minore valore di realizzazione non può essere mantenuto negli esercizi successivi, qualora ne siano venute meno le ragioni.
Da un punto di vista fiscale, invece, si hanno diverse scelte per cui l’impresa può optare per la valutazione delle rimanenze o giacenze di magazzino. Un metodo è noto come L.I.F.O., acronimo dell’espressione inglese Last In First Out, ultimo entrato, primo uscito. In sostanza, l’impresa valuta i beni in magazzino, in modo che risulti venduto per primo il bene entrato per ultimo, sulla base del loro costo di acquisto o di produzione.
Al contrario, il metodo FIFO., che sta per First In First Out, primo entrato, primo uscito, si basa sulla considerazione che sia venduto per primo il bene entrato per primo in magazzino. Infine, l’impresa può scegliere anche di effettuare una media ponderata.
Le implicazioni dell’una o dell’altra scelta non sono neutrali ai fini del bilancio fiscale. Infatti, il metodo LIFO valuta le rimanenze di magazzino come le merci acquistate o prodotte per prime. Questo significa che se nel corso del tempo si è registrato un aumento del costo di acquisto o di produzione, le rimanenze vengono valutate ai più bassi costi iniziali, per cui il LIFO tende a deprimere le valutazioni del magazzino, nei casi di prezzi crescenti.
Con il metodo FIFO, al contrario si considera che le merci rimaste siano quelle acquistate o prodotte per ultime. Se i prezzi di acquisto o i costi di produzione hanno avuto un andamento crescente, quindi, il valore del magazzino ne risulterà accresciuto, rispetto al metodo LIFO.
Viceversa, poi, se si è registrata una tendenza calante dei costi di produzione o dei prezzi di acquisto. Potrebbe essere il caso, per esempio, di questa nostra fase economica, caratterizzata da una lieve deflazione strisciante per il tracollo tra il 2014 e il 2015 dei prezzi energetici, il cui impatto sul prezzo finale è abbastanza forte.
In una situazione del genere, il metodo LIFO tende ad accrescere il valore delle rimanenze di magazzino, mentre il metodo FIFO tende a deprimerlo.
Più neutrale, da questo punto di vista, sarebbe il metodo della media ponderata, che tende a smussare gli effetti contrapposti sopra evidenziati.
Quale che sia il metodo di valutazione, esso non può essere mutato da un esercizio all’altro, in quanto ciò altererebbe il risultato finale e avrebbe effetti anche sul pagamento delle imposte, ma la pura convenienza fiscale non è una giustificazione valida perché l’impresa muti metodo di anno in anno. Se lo fa, deve riportare nella nota integrativa le ragioni che l’hanno spinta a una tale modifica dei criteri di valutazione e per il primo anno di cambiamento deve riportare a bilancio, tra parentesi, quale sarebbe stato il dato sulle rimanenze, se fosse rimasto applicato il metodo dell’anno precedente, in modo che gli azionisti, i fornitori, il Fisco e chi altro interessato abbia modo di comprendere quale sia stato l’effetto dei mutamenti di valutazione.