Dal 9 marzo del 2015, i mercati finanziari hanno a che fare nell’Eurozona con il cosiddetto QE europeo, ossia misure dette di quantitative easing, varate dalla BCE il 22 gennaio scorso e che mirano a fare tornare a crescere i prezzi nell’area e a stimolare anche la sua economia.
Ispirato alle misure messe in pratica dalla Federal Reserve negli USA tra la fine del 2008 e il novembre del 2014, il quantitative easing europeo consiste nell’acquisto da parte della BCE di titoli di stato, titoli Abs e covered bond per un controvalore nominale complessivo pari a 60 miliardi di euro al mese fino al settembre del 2016 o, in ogni caso, fino a quando non sarà raggiunto il target di un’inflazione tendenziale annua nell’Eurozona quasi del 2%.
Dunque, a ogni seduta, la BCE acquista i bond governativi dei paesi dell’Eurozona, ad eccezioni di quelli greci, in quanto non godono del rating minimo di BBB-, ossia almeno investment grade, oltre ai titoli che cartolarizzano i prestiti delle banche e le obbligazioni coperte da garanzie ipotecarie.
In verità, gli Abs e i covered bond rappresentano una quota di non più del 20% degli acquisti mensili della BCE, che per una cinquantina di miliardi circa al mese riguardano i titoli di stato, anche emessi da agenzie governative, come i prestiti alla Cassa depositi e prestiti, per fare un esempio.
Il QE ha, in effetti, avuto un impatto travolgente sui mercati finanziari, in quanto ha aumentato la domanda di bond pubblici, facendone salire repentinamente il prezzo, quindi, facendone scendere vertiginosamente i rendimenti, tanto che a qualche settimana di distanza dall’inizio dell’attuazione del piano, i rendimenti erano negativi fino alla scadenza degli 8-9 anni per i Bund tedeschi, mentre un decennale italiano è arrivato a rendere poco sopra l’1%.
Dalla metà di aprile, però, vuoi per le tensioni finanziarie relative alla Grecia, vuoi anche perché gli investitori avrebbero intuito che si era creata una bolla obbligazionaria, i trentennali tedeschi rendevano ormai meno dello 0,5% annuo, si registra un tendenziale calo dei prezzi dei titoli di stato, tanto che i rendimenti risultano in crescita evidente un po’ per tutte le scadenze. Attualmente, un BTp 2025 rende tra il 2,15% e il 2,30%, con una certa volatilità quotidiana.
Anche il comparto azionario si è impennato già da prima dell’attuazione del QE, in previsione di un aumento del grado di liquidità sui mercati e, di conseguenza, della domanda di titoli, dando vita a un fenomeno di eccezionale aumento contestuale sia di crescita dei corsi delle azioni, sia dei prezzi dei bond, generalmente tra di loro correlati negativamente.
Un effetto collaterale e desiderato della BCE ha riguardato anche il tasso di cambio tra l’euro e le altre valute. Prendendo a riferimento il cambio euro dollaro, si è passati da 1,40 dell’8 maggio 2014, giorno in cui la BCE fece intendere che avrebbe varato prima o poi nuovi stimoli monetari, a un minimo di 1,05 registrato qualche giorno dopo l’inizio degli acquisti dei bond. Ciò, perché molti investitori stranieri, in possesso di titoli di stato dell’Eurozona, hanno venduto alla BCE parte del loro portafoglio, ricevendo in cambio liquidità in euro, che hanno successivamente convertito nelle rispettive valute nazionali. In sostanza, vi è stata una massiccia vendita di titoli in euro e una corsa agli acquisti di titoli in dollari, anche in previsione di un rialzo dei tassi USA da parte della Fed.
La rapidità con cui sono avvenuti tali mutamenti sui mercati hanno sorpreso anche i grandi investitori e analisti, figuriamoci il piccolo risparmiatore. Ma vediamo come si dovrebbe comportare questo in una fase così eccezionale come questa.
Il consiglio è di guardare sempre ai fondamentali dei titoli. Il mercato obbligazionario europeo, per esempio, così come quello americano, sembra adesso iper comprato, per cui, pur non escludendo nuove variazioni positive dei relativi prezzi per fini speculativi, si suggerisce di fare attenzione a entrarvi, se si è attualmente fuori da esso. In ogni caso, si consiglia di non acquistare titoli a medio-lunga scadenza e con rendimenti eccessivamente bassi, perché è probabilissimo che il trend prossimo dei prezzi sarà calante e a quel punto l’unica alternativa alle perdite è la detenzione dei titoli fino alla scadenza. Ma ci pensate al fatto che dovreste tenere, per ipotesi, un bond in portafoglio per i restanti 15 o 30 anni per non incorrere in perdite.
Meno prezzato è, invece, il mercato azionario europeo, contrariamente a quello americano, che anche in considerazione dell’imminente rialzo dei tassi potrebbe essere soggetto a grosse variazioni.
Infine, occhio al cambio. L’euro è già indebolitosi di circa il 20% su base annua contro il dollaro. Ulteriori deprezzamenti sono possibili, ma la Fed dovrebbe impedire che il dollaro di rafforzi ancora eccessivamente, per evitare che l’economia americana ne risenti negativamente. Pertanto, attenzione a puntare sui titoli in dollari per lucrare sul solo fattore cambio. Le variazioni negative dei prezzi potrebbero più che compensare l’apprezzamento del dollaro.