In questa guida parliamo della cessione delle quote di una Srl.
Le Srl sono società a responsabilità limitata. La detenzione delle quote o partecipazioni in essa assegnano al titolare il diritto di partecipare ai risultati societari, ferma restando la distinzione tra il patrimonio personale e quello della società. In sostanza, l’azionista o socio di una srl potrà perdere fino al 100% del valore della quota, ma non è chiamato a rispondere degli eventuali debiti della società con il suo patrimonio personale.
Da un punto di vista del trattamento civilistico e fiscale, distinguiamo tra partecipazioni qualificate e partecipazioni non qualificate. Nel primo caso, se la srl non è quotata, parliamo delle quote di capitale, che assegnino al titolare una percentuale non superiore al 20% dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria o comunque non superiore al 25% del capitale o patrimonio sociale. Nel caso di srl quotate, la partecipazione si considera non qualificata, se essa non assegna al titolare più del 2% dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria o del 5% del capitale o patrimonio sociale.
Ora, può accadere che una quota sia ceduta ad altri per atto tra vivi o per successione mortis causa. Lo statuto della srl può vietare tale trasferimento, ma in quel caso deve prevedere il diritto di recesso in favore del socio, purché sia esercitato entro due anni dalla costituzione della società. Così facendo, il legislatore ha voluto contemperare l’interesse dei soci ad avere un assetto proprietario stabile e quello dei singoli soci a potersi sbarazzare delle quote in loro possesso, qualora lo ritenessero preferibile.
La cessione di quote o partecipazioni a titolo oneroso determina una possibile minusvalenza o plusvalenza. Si considera plusvalenza la differenza positiva tra il prezzo di vendita della quota e quello di acquisto della stessa, moltiplicata per il numero delle quote cedute. Al contrario, se il prezzo di vendita risulta inferiore a quello di acquisto, si subisce una minusvalenza.
Facciamo un esempio: Tizio detiene 1.000 quote della dolciaria Torte srl. Le ha acquistate in data 10/05/2010 al prezzo di 10 euro ciascuna. In data 24/01/2015 decide di rivendere tutte le quote e trova un acquirente, intento a pagargliele 13,50 euro ciascuna. Per ciascuna quota ceduta, quindi, egli otterrà una plusvalenza pari a 13,50 – 10,00 = 3,50 euro. Moltiplicando x le 1.000 quote, il risultato sarà per Tizio positivo per 3.500 euro.
Adesso, qui rileva il dato se la partecipazione ceduta sia o meno qualificata, perché a seconda del caso, il trattamento fiscale delle plusvalenze realizzate sarà differente.
La persona fisica è, infatti, in entrambi i casi tenuta a dichiarare in sede di denuncia dei redditi tutte le plusvalenze e minusvalenze realizzate nel corso dell’anno di imposta, sommandole tra di loro. Ovviamente, le minusvalenze abbasseranno il valore delle altre eventuali plusvalenze (vanno precedute dal segno meno). Sul risultato complessivo, se positivo, si applica un’imposta sostitutiva del 26%, se la plusvalenza è stata realizzata dall’1 luglio 2014, mentre per il periodo compreso tra l’1 gennaio 2012 e il 30 giugno 2014 dovrà essere applicata un’imposta del 20%. Era del 12,50% fino al 31 dicembre del 2011. In alternativa alla compilazione del quadro RT sezione II del modello Unico, tra i cosiddetti redditi diversi, se la partecipazione non è qualificata, si potrà optare per il regime del risparmio gestito, per cui il titolare della partecipazione delega la banca o una sim (società di intermediazione mobiliare) abilitata a gestire in sua vece la materia fiscale.
Diverso è il caso di una partecipazione qualificata, che si ha, per quanto sopra detto, nei casi siano superate le percentuali indicate. In questi casi, la plusvalenza concorre alla formazione della base imponibile ai fini Irpef per il 49,72%. Di conseguenza, qui la tassazione effettiva dipenderà dal reddito complessivo del dichiarante. Poiché le aliquote variano da un minimo del 23% per i redditi da 0 a 15.000 euro (si considerino, però, le diverse detrazioni ammesse per il lavoro dipendente, autonomo o per i pensionati) a un massimo del 43% per i redditi sopra i 75.000 euro lordi all’anno, vediamo quale potrebbe essere il carico fiscale sulle plusvalenza, a seconda degli scaglioni di reddito.
Poniamo che Tizio abbia realizzato i 3.500 euro di plusvalenza di cui sopra, relativamente a una partecipazione qualificata. Egli dovrà denunciarla in sede di dichiarazione dei redditi al quadro RT sezione III del modello Unico delle persone fisiche. Ma non tutta, bensì il 49,72% dei 3.500 euro, ovvero 1.740,20 euro. Ammettiamo che senza tale plusvalenza, il suo reddito sarebbe stato di 30.000 euro. Pertanto, con i 1.740,20 euro tassabili dalla cessione, egli dovrà dichiarare 31.740,20 euro, ricadendo nel terzo scaglione (28.000-55-000), quello sottoposto all’aliquota del 38%. Di fatto, sulla plusvalenza tassabile, egli dovrà versare al Fisco 661,28 euro, il 18,9% dell’intera plusvalenza effettiva. Se lo stesso contribuente avesse dichiarato un reddito complessivo pari a 12.000 euro, ad esempio, avrebbe pagato sulla medesima plusvalenza 400,25 euro, l’11,4% della plusvalenza.