In tempi di improvvisati investitori in borsa, può sembrare fuori moda puntare i propri risparmi su strumenti finanziari tipici dell’Italia del passato. Eppure, non per questo non sono degni di nota. Anzi, proprio in questa fase si mostrano più interessanti di altri. Parliamo dei Buoni postali indicizzati all’inflazione.
Sono investimenti della durata decennale, che offrono un rendimento minimo lordo annuo garantito, al quale si somma l’inflazione rilevata nel periodo, secondo l’indice FOI, ad esclusione della componente tabacchi, dell’Istat. Dunque, come si legge sul sito di Poste Italiane, questo strumento finanziario, per quanto assai semplice e comprensibile a tutti, offre una tutela dei propri risparmi contro la perdita di potere di acquisto determinata dall’inflazione. Infatti, alla scadenza del buono, il capitale investito viene rimborsato al suo valore nominale, al netto di oneri fiscali. Nel frattempo, il risparmiatore avrà accumulato anche gli interessi, i quali dipendono dall’andamento dell’inflazione, per quanto spiegato in precedenza. Gli interessi non vengono accreditati, nel caso di disinvestimento prima che siano trascorsi almeno 18 mesi dalla data di sottoscrizione. In ogni caso, è salva la restituzione integrale del capitale, il quale non viene intaccato nemmeno in caso di deflazione.
Per deflazione intendiamo un generale calo dei prezzi. Per quanto scritto sopra, all’interesse minimo garantito verrebbe sottratta una percentuale legata alla variazione negativa dei prezzi nel periodo, ma non è così, perché nel caso in cui il fenomeno si materializzasse, Poste Italiane riconoscerebbe sempre il rendimento minimo lordo segnalato in fase di sottoscrizione. Negli ultimi anni, la deflazione ha fatto in Europa la sua comparsa dopo diversi decenni di assenza, per cui se fino a poco tempo fa si trattava di un’ipotesi remota, oggi è molto più realistica.
Per capire meglio come funziona, facciamo riferimento all’emissione J48 del 2015. L’istituto riconosce un rendimento garantito lordo minimo dello 0,1% per i primi 4 anni, dello 0,25% dal quinto all’ottavo anno e dello 0,50% per il nono e il decimo anni. Dunque, ipotizzando che al terzo anno di investimento si abbia per l’Istat un’inflazione FOI dell’1,75%, questo tasso si sommerebbe allo 0,25% riconosciuto, per cui il risparmiatore otterrebbe la corresponsione di un interesse del 2% del valore del capitale investito.
Vediamo se ha senso investire in uno strumento di questo tipo. I titoli indicizzati all’inflazione, come i buoni postali, diventano allettanti nei casi di accelerazione nei tassi di crescita dei prezzi. Ora, in Italia si ha ancora un’inflazione relativamente bassa rispetto all’andamento storico degli anni precedenti, ma sembra in ripresa, così come nel resto dell’Eurozona. Siamo passati, infatti, da tassi di crescita negativi fino a parte del 2016 a tassi intorno all’1% nel 2017 e attesi poco superiori anche per il prossimo biennio. Dunque, non sembrerebbe esserci un estremo bisogno di buttarsi su titoli indicizzati all’inflazione, ma si tenga conto che negli ultimi anni le turbolenze sui mercati finanziari ci hanno abituati a trend dei prezzi dalle variazioni anche brusche. Peraltro, si consideri che trattandosi di un titolo sicuro, oggi come oggi nessuno offre, a parità di condizioni, un interesse così elevato. I titoli di stato a 10 anni, per esempio, rendono intorno al 2% lordo, mentre i BTp fino a 2 anni offrono rendimenti negativi, ovvero che infliggono perdite certe a chi li sottoscrive e li detiene fino alla scadenza.
Altro aspetto favorevole ai buoni postali è la tassazione. L’imposta sui rendimenti di natura finanziaria è stata elevata al 26% dal luglio 2014, ma continuano ad essere tassati con aliquota al 12,50% i rendimenti esitati dai titoli di stato e quelli degli strumenti emessi da Poste Italiane e Cassa depositi e prestiti. Dunque, ammesso che sul mercato si riesca a trovare un bond con rendimento simile, bisogna scontare una maggiore tassazione del rendimento offerto, tranne che si tratti di un titolo di Stato o emesso dalla Cdp.
Infine, altro aspetto da non sottovalutare è la sicurezza di non incorrere in perdite sul capitale. Gli stessi titoli di Stato appaiono più rischiosi in questo senso. Infatti, il rendimento di un BTp è dato dalla cedola annua staccata dal Tesoro e dalla differenza, se positiva, tra il prezzo di rimborso o di rivendita del titolo e quello sborsato all’atto della sua emissione o acquisto sul mercato secondario, divisa per il numero di anni intercorrenti tra l’acquisto e la scadenza. Quando i tassi salgono, i prezzi dei titoli di stato scendono, per cui il bond vale di meno, nel caso lo si volesse rivendere prima della scadenza sul mercato. Con i buoni postali, invece, quale che sia la data del disinvestimento, il capitale rimborsato è sempre pari al 100% di quello versato all’atto della sottoscrizione, per cui si ha la certezza di non subire mai perdite.
Quanto alle modalità di sottoscrizione, questa può avvenire in forma cartacea, recandosi presso un qualsiasi ufficio postale, oppure in forma dematerializzata o elettronica. Si può investire in buoni postali indicizzati anche tramite Libretto Postale Smart e BancoPosta Click.