Nel nostro ordinamento tributario si definisce nota di debito il documento emesso dal venditore, quando ha la necessità di integrare gli importi già emessi con una fattura precedente. Ciò può avvenire successivamente all’emissione o alla registrazione della fattura, quando si riscontra un errore o si è pervenuti a un diverso accordo che abbia comportato un aumento della base imponibile ai fini IVA. In questi casi, il cedente o prestatore di servizi deve emettere o registrare, secondo le norme ordinarie, una fattura integrativa per il maggiore importo da addebitare al cliente. La nota di debito deve essere emessa indipendentemente dalla causa e senza limiti di tempo.
Se la variazione viene emessa oltre i termini di liquidazione prevista e relativi alla fattura precedentemente emessa, il cedente o prestatore può evitare l’applicazione delle sanzioni per intero, ricorrendo al ravvedimento operoso, che consente al contribuente di ridurre ai minimi termini la percentuale delle sanzioni applicate e al contempo di versare al Fisco interessi quasi azzerati. Con il ravvedimento operoso, poi, si ha che l’importo pagato per le sanzioni cresce, all’aumentare del tempo trascorso tra la data ultima, entro la quale sarebbe dovuta avvenire l’emissione e quella in cui viene effettuata la regolarizzazione. Per intenderci, prima si paga e meno si paga.
Le note di debito devono essere registrate nel registro delle fatture emesse. A differenza delle note di credito, quelle di debito devono essere obbligatoriamente emesse, in quanto comportano un aumento dell’imponibile e, quindi, dell’importo IVA dovuto all’Erario. Un’altra differenza con la nota di credito è che questa deve essere emessa entro il limite temporale di un anno, quando quella di debito, come scritto, non ha limiti. La nota di credito può, poi, essere emessa solo in determinati casi prevista dalla normativa.
Da un punto di vista materiale, la nota di debito si presenta al pari di una fattura, essendo numerata seguendo la progressività delle fatture emesse e riportando la data di emissione, il numero della fattura di riferimento e gli altri dati obbligatoriamente previsti per le fatture e indicate dall’art.21 D.P.R. 633/72. Il documento compare, poi, nel registro delle fatture emesse.
Fin qui vi abbiamo evidenziato alcune differenze salienti tra note di debito e note di credito. Adesso vi faremo comprendere la differenza tra note di debito e riconoscimento del debito. Quest’ultima è un’ammissione o ricognizione del debito, ovvero una dichiarazione unilaterale recettizia e con carattere negoziale. Tramite tale dichiarazione, un soggetto di auto riconosce debitore verso un altro soggetto. Il riconoscimento del debito ha importanza probatoria, perché in un processo viene considerata prova di esistenza di un debito, senza che il presunto creditore debba comprovare la sussistenza della sua pretesa.
La ricognizione del debito, quindi, se documentata, non ha come effetto quello di fare sorgere un’obbligazione, ma costituisce prova dell’esistenza di un’obbligazione precedentemente contratta. Stando all’art.1998 c.c., infatti, colui a favore del quale è rilasciato, viene dispensato dall’onere di provare il rapporto fondamentale. Non siamo nemmeno in presenza di una promessa di pagamento, bensì del riconoscimento di un’obbligazione sorta in precedenza.
Detto ciò, torniamo alla nota di debito. Come abbiamo scritto sopra, essa sorge per la necessità di rettificare una fattura già emessa, allorquando il venditore di beni o servizi si accorge o di avere commesso un errore o di dovere integrare il documento contabile per il sorgere di una differenza con l’importo già registrato. Questo, può avvenire per svariate ragioni. Si pensi al caso di un fornitore di legname a una ditta di costruzione di mobili, che ha venduto a questa ultima una partita per un valore complessivo di 50000 euro + IVA. Supponiamo che dopo diversi mesi, un impiegato del magazzino della ditta fornitrice si accorga che la partita di legna ceduta in precedenza fosse stata registrata per errore di un peso inferiore a quello effettivo, per cui è necessario rettificare l’importo della fattura già emessa. Per ipotesi, immaginiamo che il sovrapprezzo da indicare nella nota di debito sia pari a 3000 euro, al netto della maggiore IVA dovuta. L’ufficio contabile emetterà tale nota di debito e la iscriverà nel registro delle fatture emesse, come se si trattasse di una fattura a tutti gli effetti. Riporterà nella nota gli estremi della fattura a cui fa riferimento. Se il contribuente, il fornitore, si avvale dei versamenti IVA trimestrale, al fine di evitare sanzioni dovrebbe emettere la nota di debito entro la fine del trimestre in cui era stata emessa la fattura errata, se la periodicità dei pagamenti è, invece, mensile, dovrebbe farlo entro la fine del mese. Qualora l’emissione avvenisse successivamente a questi termini, si incorre nel pagamento di una sanzione, che potrà essere abbattuta, come dicevamo, ricorrendo al ravvedimento operoso, che sconterà quasi totalmente il più da versare all’Erario.
Ci si potrebbe chiedere del perché si sia costretti a versare le sanzioni, anche se la fattura fosse stata emessa per errore per un importo inferiore a quello effettivo e la nota di debito risulti emessa oltre i termini dovuti. Se così non fosse, qualsiasi impresa potrebbe accampare la scusa dell’errore per rinviare il versamento dell’IVA al futuro.