Quando si decide di acquistare un’azienda, la prima operazione che si fa è di effettuarne una valutazione per capire quale possa essere l’offerta corretta o se il prezzo richiesto dal venditore sia in linea con il valore effettivo. Per fare questo ci viene in aiuto la due diligence, che è una pratica con la quale si valutano tutti gli aspetti inerenti la vita aziendale, non solamente gli asset che la costituiscono, ma anche la composizione dell’azionariato, i rapporti con gli skeholder, i debiti commerciali, le esposizioni con le banche, il portafoglio degli ordini, delle commesse, i rapporti pendenti con il personale, il Fisco, l’ente di previdenza, etc.
A differenza del piano industriale, che analizzando tutti questi stessi elementi si pone come obiettivo quello di darne una valutazione prospettica, la due diligence fotografa la situazione nell’istante della valutazione. Dunque, vi è una differenza di obiettivi, ma gli elementi esaminati possono essere gli stessi.
Vediamo chi richiede generalmente una due diligence. Di certo, l’acquirente, in modo da avere un’idea sul valore effettivo dell’azienda che intende acquisire. Ma anche lo stesso venditore potrebbe volerla, in modo da conoscere il prezzo al quale potrebbe cedere l’azienda, evitando magari di non avere riscontro di domanda sufficiente sul mercato.
A volte, però, la richiesta potrebbe arrivare solo da una parte della compagine sociale, quando uno o più soci intendono cedere le loro quote, ma magari esistono dissensi sulla loro valutazione. Lo stesso, poi, possono fare il Fisco o le autorità giudiziarie, nonché un creditore privato, qualora desiderino conoscere il valore della società, in previsione di una conversione del credito in quote di proprietà o della liquidazione dell’azienda.
La due diligence può essere effettuata dentro o fuori la società. Nel primo caso, accade quando non si vuole fare uscire documentazione riservata dagli uffici, tenendo così informazioni sensibili nei luoghi aziendali, evitando il rischio che queste cadano in mani sbagliate. Al contrario, se si decide di effettuare la valutazione all’esterno dell’azienda, si è evidentemente propensi ad evitare che i dipendenti possano venire a conoscenza dell’operazione, mettendo a repentaglio una trattativa in corso o diffondendo informazioni riservate, magari in relazione alla quotazione in borsa dell’azienda. In questo secondo caso, si parla di data room.
Sono due gli oggetti della valutazione con la due diligence. Il primo riguarda aspetti di natura più formale, come l’iscrizione al registro delle imprese, la composizione della compagnie sociale, la sede legale, gli incarichi conferiti e la loro durata, poteri e atto costitutivo. Il secondo riguarda il tipo di attività dell’impresa, i brevetti di cui dispone, il mercato di riferimento, l’analisi della concorrenza. In ciò potrebbe essere richiesto di visualizzare anche gli ultimi bilanci.
La due diligence fiscale non è meno importante e riguarda l’analisi degli aspetti inerenti i rapporti con il Fisco, magari quelli pendenti, che potrebbero rivelarsi particolarmente rischiosi per una società, nel caso in cui le cose dovessero andare male, come per l’esito negativo di una controversia con l’amministrazione finanziaria. In genere, vengono analizzati a tale proposito i bilanci relativi agli anni per i quali il Fisco potrebbe avanzare una qualche pretesa.
Per questo motivo si effettua o un’analisi completa della società, oppure relativamente a un solo settore. L’obiettivo è di scoprire se esistano potenziali casi di contenzioso tributario, rilevando eventuali inadempienze da parte del management. Per valutare quali siano gli anni rilevanti ai fini dell’apertura di un possibile contenzioso non basta guardare agli anni della prescrizione per i reati tributari, ma anche agli eventuali avvisi inviati dall’amministrazione fiscale, che hanno l’effetto di interrompere tali periodi di prescrizione. Ne consegue che debba essere effettuata una valutazione abbastanza dettagliata e non generica, esaminando attentamente la documentazione di cui si è entrati in possesso.
Per assistere il venditore di un bene mobiliare o immobiliare, esistono i servizi di vendor assistance, che consentono di non perdere il controllo nel processo di vendita, grazie al lavoro di specialisti, che collaborando insieme al management aziendale e all’advisor assicurano che siano adottate le azioni più appropriate lungo tutta la durata del processo stesso.
Il servizio fornisce all’acquirente maggiori certezze sulla natura del business e sulle caratteristiche del cash flow, facilitando le scelte di pricing e di indebitamento. Controlla i fatti e le informazioni fornite durante la vendita e riduce la necessità per l’acquirente di effettuare una propria due diligence, in quanto sul servizio di vendor assistance si potrà fare certamente affidamento, non contemplando un interesse del venditore a discapito di quello dell’acquirente.
Peraltro, proprio la due diligence riduce i rischi contrattuali e per ciò stesso non solo facilita la vendita di un bene, ma aiuta anche ad accrescere gli importi delle offerte. Infine, quanto al rapporto giuridico che lega gli incaricati a svolgere la due diligence al committente, esso consiste in un mandato o in uno specifico incarico professionale, che potrebbe portare ad avere relazioni con soggetti esterni a quelli che hanno conferito il mandato.