Il lavoro a intermittenza o a chiamata è una fattispecie introdotta in Italia dal D.Lgs 276/2003, meglio nota come legge Biagi, di derivazione anglosassone, dove si chiama job on call. Di recente, sono state apportate modifiche legislative a questo tipo di contratto, che vanno nel senso di restringerne l’applicabilità, a partire dall’1 gennaio 2014.
Rientra tra i cosiddetti contratti atipici e consiste nella possibilità concessa al datore di lavoro di chiamare il lavoratore solamente per i periodi di effettivo bisogno della sua prestazione. Questo tipo di contratto può essere utilizzato quando si presenta la necessità di utilizzare il lavoratore in modo discontinuo. Esso è consentito anche per periodi lunghi, se non vi è coincidenza tra la durata del contratto e quella dell’attività svolta.
Sono due le categorie di lavoratori che possono contrarre una prestazione di lavoro a chiamata, senza limiti legati all’attività svolta: trattasi dei lavoratori fino a 24 anni di età, il cui contratto scada prima del compimento del 25esimo anno di età (sono possibili, quindi, solo contratti a termine); i lavoratori di età superiore ai 55 anni, anche pensionati.
Le modifiche apportate con Dl 76/2013, entrato in vigore dall’inizio del 2014, viene abrogata quella parte del decreto legislativo del 2003, che consentiva il ricorso del lavoro a chiamata per periodi dell’anno predeterminati, come ferie estive, fine settimana.
Risulta essere importante per i datori di lavoro essersi messi in regola con le nuove normative, perché la restrizione del campo di applicabilità del contratto intermittente potrebbe avere reso in contrasto con la legge alcune fattispecie prima applicate in azienda, con la conseguenza che chi non rispetti le nuove regole s’imbatterà in una trasformazione automatica in contratti a tempo indeterminato e l’Inps potrà prendere, dopo avvenuto accertamento, il pagamento dei contributi per il periodo non lavorato, sulla base di una retribuzione minima giornaliera.
Il contratto di lavoro a chiamata può essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato.
Il ricorso è ammesso, però, nei limiti di 400 giornate lavorative nell’arco di tre anni. Questa previsione è contenuta nel nuovo decreto del 2013 e ai fini del computo delle giornate, si spiega che bisogna andare a ritroso di 3 anni rispetto al giorno in cui si richiede la prestazione e che vanno considerate solo le giornate successive al 28 giugno 2013.
Il tetto massimo delle 400 giornate non si applica al settore del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Negli altri casi, invece, lo sforamento comporta la trasformazione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. E’ obbligatoria anche la comunicazione preventiva della chiamate.
Attenzione all’età del lavoratore. Per quanto sopra detto, non esistono per gli under 25 e gli over 55 gli stessi limiti applicativi previsti per le altre categorie di lavoratori. Questo, però, non significa che automaticamente, per il solo dato anagrafico, un lavoratore fino ai 25 anni di età possa essere assunto con contratto a chiamata. La Corte di Cassazione ha dato di recente ragione a un giovane dipendente di una catena di abbigliamento, che ha fatto ricorso contro l’azienda dalla quale era stato assunto, sostenendo che il contratto fosse a tempo determinato sulla base solamente della sua età.
Sulla base del Regio Decreto del 6.12.1923, le attività discontinue sono i custodi, i guardiani, i portinai, personale di sorveglianza, addetti ai centralini telefonici privati, receptionist di albergo, camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici, carrozze letto, carrozze ristoranti, addetti alle pompe di carburante e lavoratori dello spettacolo.
Il contratto deve precisare le ragioni del ricorso al lavoro intermittente, la durata del contratto, tempi e modi di corresponsione della retribuzione ed eventuali misure specifiche di sicurezza previste per il caso.
Allo stesso tempo, il lavoratore a chiamata ha diritto anche allo stesso trattamento corrisposto agli altri lavoratori di pari livello, inclusi i diritti di tipo previdenziale e assicurativi, eventualmente ridotti proporzionalmente al lavoro effettivamente svolto. Se il lavoratore ha accettato la disponibilità su chiamata, egli avrà diritto a un’indennita minima, ma non potrà rifiutarsi, salvo la perdita della stessa.
Non si potrà utilizzare il contratto a chiamata per la sostituzione di lavoratori in sciopero, quando il datore non ha effettuato la valutazione dei rischi, nel caso in cui l’azienda abbia provveduto ai licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti (salvo diverse disposizioni nei contratti collettivi), quando sia in corso un’integrazione dei guadagni per riduzione dell’orario di lavoro per le attività che si vorrebbero contrattualizzare con il lavoro a intermittenza (salvo diverse disposizioni nei contratti collettivi).
Il lavoro a chiamata rappresenta una delle fattispecie più flessibili di occupazione in vigore nel nostro paese, anche se è stato oggetto di numerose critiche, in questi anni, di quanti ritengono che abbia sostituito spesso immotivatamente altre forme più stabili di rapporti lavorativi. Le modifiche apportate in questi ultimi due anni sotto il profilo normativo rispondono proprio all’esigenza di razionalizzare le forme di assunzione in Italia e di evitare i casi di abusi.