In questa guida spieghiamo come investire in Serbia.
Dopo un lungo periodo di instabilità, la Serbia oggi si presenta come una realtà economica in forte sviluppo, grazie alle numerose riforme varate negli ultimi anni dal governo in campo fiscale, dell’industria e del commercio, così come anche per la decisa stabilità politica.
Esistono varie ragioni per cui oggi un italiano potrebbe volere decidere di investire in Serbia. Si consideri, per iniziare, che parliamo di uno stato a quattro passi dall’Italia e che presenta costi nettamente più bassi di quelli tipici delle economie occidentali, per cui non sono in pochi ad approfittarne anche per stabilirvi la residenza.
Questo si traduce anche in manodopera più economica e spesso ugualmente qualificata. Per di più, la Serbia non fa ancora parte dell’Unione Europea e può, quindi, permettersi di sostenere le proprie imprese con agevolazioni fiscali piuttosto generose, al momento sconosciute in altri Stati. Per esempio, chi apre un’attività nel paese e crea almeno 100 posti di lavoro è esentato per dieci anni dal pagamento delle imposte. Certo, non è cosa di tutti i giorni spostarsi in un paese relativamente meno ricco e dare lavoro a 100 dipendenti, ma per chi avesse l’intenzione e i capitali disponibili per una simile impresa, potrebbe essere una soluzione interessante. La stessa esenzione viene garantita alle imprese che risultino avere investito almeno 7 milioni di euro.
Le imposte sugli utili d’impresa sono le più basse d’Europa, pari solo al 10%. Si pensi che in Italia l’aliquota IRES è del 27,5% e che esistono altre imposte, come l’IRAP, che innalza il livello effettivo della tassazione. Inoltre, lo Stato riconosce un incentivo fiscale da 2.000 a 10.000 euro per ogni posto di lavoro creato, sulla base della zona e del settore di investimento. Anche l’imposta sui redditi delle persone fisiche è bassa e pari al 12%, in più esistono agevolazioni legate all’età dei dipendenti assunti, ovvero per quelli inferiori ai 30 anni o superiori ai 50 anni, con la possibilità anche di essere del tutto esentati fiscalmente per 2 o 3 anni. Grazie a queste misure, il cuneo fiscale risulta inferiore al 36%, quando in Italia si attesta al 48 o 49%. Ciò significa che le distanze tra busta paga percepita dal lavoratore serbo e costo del lavoro a carico dell’impresa sono più corte in Serbia che in Italia.
Anche l’IVA è decisamente più bassa dell’Italia, con aliquote dall’8% al 18%. Inoltre i beni importati per essere utilizzati per le esportazioni non sono soggetti a dazi doganali, alleggerendo i costi per le imprese eventualmente dedite alla produzione di merci da vendere all’estero, come potrebbe accadere nel caso tipico di un investitore italiano che sposti in Serbia parte della sua attività.
Anche la burocrazia appare piuttosto snella e gli stranieri possono ottenere il permesso di soggiorno in pochi giorni, mentre non esistono limiti al trasferimento degli utili d’impresa, se si opera in almeno 3 delle zone franche istituite nello stato balcanico. Se il processo di registrazione di un’impresa dura dai 5 ai 10 giorni, anche la chiusura comporta ormai un minore dispendio di energie, i tempi per la liquidazione sono stati abbassati di recente da 7 a 1 anno.
Altro elemento da tenere in considerazione è che la Serbia ha accesso al mercato russo, in quanto ha siglato un accordo di libero scambio con Mosca. In sostanza, chi fa impresa qui può vendere le proprie merci a 180 milioni di consumatori, così come può commerciare liberamente con altri 60 milioni di consumatori nel Sud Est dell’Europa.
Esistono, poi, diversi lauti incentivi per le assunzioni, che abbassano notevolmente il costo del lavoro per il primo periodo di ingresso del dipendente in azienda. L’Ufficio per l’impiego nazionale eroga dagli 850 a 1.700 euro per ogni lavoratore fino a 50 dipendenti e finanzia attività di formazione per 900 euro per ogni dipendente. Le autorità provinciali, invece, contribuiscono con altri 1.000 o 1.300 euro per ogni nuovo posto di lavoro creato e sovvenzionano programmi di formazione. Lo Stato centrale ha varato contributi a fondo perduto per attività diverse da quelle rivolte alla vendita al dettaglio, il turismo, l’ospitalità e l’agricoltura. Per i grandi investimenti dal valore almeno pari a 200 milioni e che creino non meno di 1.000 posti di lavoro, lo Stato può partecipare fino al 25% del costo sostenuto, mentre gli investimenti di almeno 50 milioni di euro e 300 posti di lavoro possono confidare su una compartecipazione ai costi del 20% da parte dello stato.
Infine, per gli investimenti greenfield e brownfield di dimensioni standard e relative ad attività connesse alle esportazioni, i finanziamenti a fondo perduto sono garantiti tra i 2.000 e i 10.000 per ogni posto di lavoro creato.