Di recente, la normativa sull’IVA è stata modificata, in modo da prevenire casi di frode da parte di quanti presentano generalmente un modello F24 senza IVA a debito, ma con crediti da compensare. Capita a volte, che prima che il Fisco scopra queste persone, l’impresa viene chiusa e diventa complicato recuperare la somme non dovute.
Dal 2014 è stata introdotta una nuova normativa, per cui non è possibile effettuare la compensazione, presentando il modello F24 tramite gli ordinari servizi di home banking, ma serve farlo in via telematica, tramite Entratel e Fisconline.
La certificazione riguarda i crediti relativi all’Ires, all’Irpef, all’Irap, alle ritenute alla fonte e all’addizionale regionale e comunale. Bisogna certificare esclusivamente i crediti emersi in sede di dichiarazione dei redditi e non quelli manifestatisi durante l’esercizio in corso. Inutile, infatti, certificare crediti IVA o Irap, che il Fisco non ha avuto modo di verificare con il modello Unico presentato, in quanto non sarebbe in grado di accertarne l’esistenza.
Il commercialista, apponendo il visto di conformità, attesta l’esistenza dei crediti e il loro utilizzo, implicando il riscontro della corrispondenza dei dati risultanti nella dichiarazione e delle risultanze relative alla documentazione e alle disposizioni, che regolano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto. Il visto di conformità, poi, attesta la regolare tenuta delle scritture contabili da parte del contribuente, ai fini delle imposte sui redditi e l’IVA, nonché la corrispondenza tra queste e le risultanze relative alla documentazione esibita.
Non in tutti i casi, in cui si ha una rettifica della dichiarazione si è oggetti di controllo o di rilevazione da parte di chi rilascia il visto di conformità. Nei casi di difformità tra quanto utilizzato e quanto riscontrato dall’Agenzia delle Entrate dà vita a sanzioni a carica dei professionisti, che con dolo o senza sbagliano.
Nella pratica, la certificazione dei crediti IVA e degli altri tributi avviene con l’apposizione della firma e del codice fiscale da parte del professionista che esegue i controlli, che può anche essere la società di revisione, che si occupa di controllare la contabilità della società.
La legge 102 del 2009 ha introdotto l’obbligo di certificazione dei crediti IVA, nel caso siano di importo superiore ai 15.000 euro. Prima che il contribuente richieda la compensazione con altri tributi, tramite il modello F24, deve farsi rilasciare il visto di conformità da parte del professionista abilitato. Questi accerta sia l’esistenza che la bontà dei crediti.
Vediamo quanto costa la certificazione. La tariffa è stata fissata dall’Ordine dei Dottori Commercialisti nella misura compresa tra lo 0,50% e il 2% dei crediti da certificare. L’onorario è uguale anche qualora ad effettuare il controllo sia un revisore contabile.
Dunque, nel caso si debba certificare l’esistenza di crediti IVA per 20.000 euro, la tariffa minima sarebbe di 100 euro e quella massima di 400 euro. Per una certificazione relativa a crediti per 100000 euro, si pagherebbe da un minimo di 500 euro a un massimo di 2.000 euro.
Ma chi sono i professionisti legittimati al rilascio del visto di conformità? Essi possono essere i responsabili di un Centro di assistenza fiscale per le imprese e i dipendenti, gli iscritti all’albo dei dottori commercialisti, a quello degli esperti contabili, dei consulenti del lavoro, gli iscritti al 30 settembre del 1993 nei ruoli di periti e esperti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la categoria tributi.
Il professionista che appone il visto di conformità e che intenda effettuare la compensazione orizzontale per i crediti IVA superiori ai 15.000 euro, può farlo in autonomia, senza il ricorso ad altri.
Per compensazione orizzontale s’intende l’utilizzo del credito IVA per il pagamento di imposte, contributi, premi o altri versamenti diversi dall’IVA dovuta. Essa va incontro a una serie di limiti, collegate all’ammontare da utilizzare per il versamento di imposte, contributi, premi dovuti dal contribuente. Il limite massimo previsto per la compensazione è di 700.000 euro.
In alternativa alla richiesta di compensazione, il contribuente può decidere di avvalersi della richiesta di rimborso dei crediti IVA. Ciò è ammesso a determinate condizioni, come nel caso di cessazione dell’attività. L’aliquota media delle operazioni attive deve essere inferiore a quella degli acquisti, oppure le operazioni non imponibili devono risultare superiori al 25% del totale delle operazioni effettuate, o ancora, che siano stati effettuati acquisti di beni ammortizzabili e di spese per studi e ricerche, o che vi sia la prevalenza di operazioni non soggette ad IVA; o che il contribuente sia un soggetto non residente in Italia.
I soggetti a rischio sono tenuti a prestare apposita garanzia, nel caso di richiesta di rimborso per crediti IVA superiori ai 15.000 euro. Trattasi di imprese in attività da meno di 2 anni, sono esclusi dalla previsione i lavoratori autonomi, e la data di riferimento è quella dell’effettivo esercizio dell’attività, non dell’apertura della partita IVA; coloro, che nei 2 anni precedenti abbiano registrato una differenza tra importi accertati e importi dovuti superiore a determinate soglie.