Per associazione in partecipazione si intende un contratto, attraverso il quale un imprenditore, detto associante, attribuisce a uno o più soggetti che svolgono un’attività lavorativa, detti associati, il diritto di partecipare agli utili della sua impresa o solo relativamente a uno o più affari.
Il contratto che regola i diritti e i doveri delle parti deve stabilire che la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, mentre l’associato ha il potere di controllo sull’impresa o sul’affare e per monitorare il quale ha diritto al rendiconto dell’affare o a quello annuale della gestione dell’impresa.
La consegna del rendiconto all’associato da parte dell’associante è un elemento fondamentale per un contratto di associazione in partecipazione, senza il quale la legge presume automaticamente che si tratti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nel quale verrà trasformato. E ciò vale anche se risulta evidente una relazione diretta tra gli utili dell’impresa o determinati dall’affare e la retribuzione dell’ associato o degli associati.
L’intento della legge è di limitare i casi di abusi, ossia prevenire che l’imprenditore mascheri un rapporto di lavoro subordinato con un contratto di associazione in partecipazione. Il rendiconto, in effetti, rappresenta il documento contabile, che fornisce all’associato gli elementi informativi per monitorare l’andamento della gestione dell’affare o dell’impresa, potendo verificare che la sua partecipazione agli utili sia effettivamente corrispondente a quanto erogatogli dall’associante.
L’apporto dell’associato all’impresa o all’affare può avvenire anche mediante una prestazione di lavoro. In questi casi, indipendentemente da quale sia il numero complessivo di associanti, quello degli associati per il medesimo affare o impresa non può essere superiore a 3. Fanno eccezione coloro che sono legati all’associante da un rapporto coniugale, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
La partecipazione agli utili o alle perdite da parte dell’associato non può superare il valore del suo apporto, salvo patti contrari. I terzi acquisiscono diritti e doveri nei confronti dell’associante. Il decreto del 2013, poi, stabilisce che le suddette norme non si applicano, per le imprese a scopo mutualistico, agli associati eletti dall’assemblea, il cui contratto sia certificato ai sensi dell’art-76 del d.lgs 276/2003 e successive modifiche, nonché in relazione al rapporto tra produttori e artisti, interpreti, esecutori, finalizzato alla realizzazione di registrazioni audio-visive.
I redditi realizzati dall’associato con apporto di lavoro devono essere dichiarati con il modello Unico nel periodo d’imposta in cui vengono percepiti e sono costituiti dall’intero ammontare derivante dagli utili di associazione, per cui non si possono dedurre, ad esempio, i costi relativi ai compensi dei collaboratori e di altro tipo.
Gli associati che svolgono un’attività lavorativa dovranno iscriversi alla gestione separata dell’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. Il contributo previdenziale si calcola sugli importi erogati all’associato anche a titolo di acconto, rispetto al risultato della partecipazione agli utili, salvo conguaglio in sede di determinazione annuale del reddito. I contributi previdenziali sono a carico dell’associante per il 55% e dell’associato per il restante 45%. Il versamento all’Inps deve essere effettuato dall’associante entro il 16-esimo giorno del mese successivo a quello della corresponsione del compenso all’associato.
La riforma delle norme sul lavoro, nota anche come Jobs Act, ha previsto un drastico riordino in materia di contratti, che ha riguardato anche quelli di associazione in partecipazione, stabilendo al D.Lgs. n.81/2015 che nel caso in cui l’associato in partecipazione sia una persona fisica, l’apporto all’attività di impresa non può più consistere in un’attività lavorativa. Restano salvi i contratti esistenti al 25 giugno 2015 e fino alla data della loro cessazione.
La limitazione della riforma mira ad evitare i casi di abuso, anche perché nel frattempo il legislatore ha previsto norme più flessibili con riguardo al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, che diventa quello prevalente. Gli imprenditori che assumano dopo l’entrata in vigore di tale legge con questa tipologia contrattuale si vedranno sgravati per i primi 3 anni dalla data dell’assunzione dal versamento all’Inps dei contributi previdenziali e inoltre potranno licenziare il neo-assunto fino al termine del terzo anno senza giusta causa, non essendo più obbligati al reintegro, ma perdendo nel qual caso i benefici previdenziali di cui ha usufruito, che vanno restituiti allo stato.
Facciamo un riepilogo dei casi, in cui il contratto di associazione in partecipazione viene trasformato in rapporto di lavoro subordinato. Ciò avviene quando gli associati che fornivano come apporto una prestazione di lavoro erano superiore a tre, relativamente al medesimo affare o impresa, fatte salve le eccezioni di parentela con l’associante prima citate; quando tra l’associante e l’associato vi è in concreto un rapporto di lavoro subordinato, non sussistendo una reale relazione tra utili e retribuzione, oltre che il potere di controllo del presunto associato dell’attività o impresa; quando, pur sussistendo una relazione tra utili e retribuzione, l’associante non presenta all’associato il rendiconto di gestione; quando l’attività svolta dall’associato non ha le caratteristiche tipiche di un rapporto di lavoro autonomo.