In questa guida spieghiamo in cosa consiste il subentro leasing
Spesso accade che un contratto di leasing venga ceduto a terzi, mentre è ancora in corso di validità. Si pensi ai casi di cessione d’azienda, conferimento, fusione e scissione. La cessione del contratto di leasing comporta il trasferimento degli obblighi e dei diritti in capo al cessionario, chiaramente dietro il consenso della società di leasing.
Da un punto di vista della contabilizzazione della cessione del contratto, essendo utilizzato il metodo patrimoniale, il cedente registra una sopravvenienza attiva, pari alla somma incassata per il corrispettivo percepito. Dai conti d’ordine vengono stornati gli impegni residui nei confronti della società di leasing.
Per le sue caratteristiche finanziarie, il contratto di leasing può essere assimilato a un contratto di mutuo. Escludendo il maxi-canone iniziale e il riscatto finale, le due tipologie contrattuali sono simili, ovviamente sotto l’aspetto finanziario. Entrambi i contratti comportano l’esborso di una somma a date prefissate, ciascuna delle quali somma di una quota di capitale e di una quota di interessi.
Pertanto, il valore di un contratto di leasing può essere fissato a una certa data, detraendo dal valore del bene, al momento della cessione del contratto, il debito residuo nei confronti della società di leasing, come evidenziato dal piano di ammortamento. Per determinare il valore del bene, si potrebbe procedere a una perizia tecnica. In genere, però, il piano di ammortamento di un contratto di leasing non viene consegnato, per cui bisognerà richiederlo. Se nemmeno in questo caso dovesse essere consegnato, allora si dovrà calcolare il tasso di interesse applicato per contratto e da questo crearsi il piano di ammortamento, un procedimento possibile anche attraverso calcolatori automatici rinvenibili online.
La cessione del contratto di leasing assume rilevanza fiscale per il versamento delle imposte dirette, dell’IRAP, dell’IVA. Per quanto concerne il pagamento delle imposte dirette, è previsto dall’art.88, comma 5 del T.U.I.R. che la società cedente debba contabilizzare a sopravvenienza attiva il valore normale del bene ceduto, non il corrispettivo percepito, quindi, prescindendo dal prezzo pattuito tra le parti.
L’obiettivo di una tale norma consiste nell’eliminare le pratiche elusive, visto che in passato si erano diffusi comportamenti scorretti, sulla base dei quali si cedevano contratti di leasing quasi alla loro scadenza e a prezzi vicini a quelli di riscatto, quando il loro valore di mercato era di gran lunga superiore. In questo modo, la società cedente poteva versare minori imposte dirette.
Risulta essere stata colmata una lacuna normativa, frutto della mancata previsione nel T.U.I.R., dalla C.M.108/E del 3 maggio 1996, che prevede ai fini della determinazione della sopravvenienza attiva da assoggettare a tassazione del valore normale del bene, che questo sia considerato al netto dei canoni relativi alla durata residua del contratto e del prezzo fissato per il riscatto, che dovranno essere pagati al cessionario e attualizzati alla data della cessione.
Quanto detto sopra, oltre alla scarna e in qualche punto contraddittoria previsione normativa, è frutto della norma di comportamento 141 delineata dall’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano. Essa stabilisce che a fronte del prezzo pattuito all’atto della cessione, il cedente attribuisce al subentrante o acquirente sia il diritto di godimento del bene, sia il diritto di esercitare il riscatto alla scadenza prevista. Il prezzo viene considerato frutto della differenza, quindi, tra il valore economico del bene e valore attualizzato dei canoni residui e il prezzo di riscatto.
Per questa ragione, il prezzo può essere valutato come sintesi di due quote, la quota di godimento del bene, che deve essere considerato un onere pluriennale da ripartire per la durata residua del contratto, la quota del corrispettivo, che ha a che fare con l’opzione di acquisto, valutabile come acconto sul prezzo per il futuro riscatto del bene, per cui tale componente del prezzo va iscritta ad incremento del valore del bene all’atto del suo riscatto e deve successivamente essere ammortizzata.
Quanto al conto economico dell’acquirente, il prezzo bilancia e rettifica l’imputazione dei futuri canoni di leasing, in modo da aversi il medesimo effetto, che si sarebbe avuto con la stipula di un nuovo contratto di leasing.
Stabilire quale parte del prezzo debba essere ricondotta alla quota di godimento del bene e quale alla cessione del diritto di opzione non è un esercizio semplice, per cui è intervenuta sul punto l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n.212/07, che ha chiarito come la quantificazione delle due componenti del prezzo non sia lasciata alla libera determinazione delle parti. Si considera il prezzo pagato come un anticipo del prezzo del bene, in misura pari alla sopravvenienza attiva registrata dal cedente. La differenza positiva, al netto dei canoni di leasing e del prezzo di riscatto, si considera come costo sostenuto per il godimento del bene con il subentro e deducibile in rapporto alla durata residua del contratto.
Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate è da considerarsi un onere pluriennale relativo al godimento solo la parte del prezzo eccedente la sopravvenienza attiva.