La contribuzione alle spese condominiali è uno dei principali motivi di scontro tra condomini, anche se a tale proposito possono venire in aiuto alcuni articoli del Codice Civile. L’art.1.123 del Codice Civile recita al primo comma che si dividono in proporzione al valore che ciascuna proprietà esclusiva ha nei confronti delle parti comuni dell’edificio le spese che concernono la conservazione e il godimento delle parti comuni dell’edificio, la prestazione dei servizi nell’interesse comune e le innovazioni di cui all’art.1.120 c.c.
In altri termini, la legge ci fa intendere che ciascun condominio potrebbe avere un valore diverso, in relazione alle parti comuni, per cui anche due condomini sullo stesso piano potrebbero contribuire in misura differente, anche se, in genere, molto simile, alle spese comuni.
Ovviamente, capita che non tutte le parti o servizi comuni vengono usufruiti allo stesso modo dai condomini. In questo caso, trova applicazione il secondo comma dell’art.1.123 del c.c., il quale recita che in caso di un utilizzo differente di un bene, le relative spese devono essere ripartite in maniera diversa tra i condomini.
Attenzione,– qui vale il criterio oggettivo e non soggettivo, come più volte ha ribadito la giurisprudenza, nel senso che non basta utilizzare di più o di meno un determinato bene per pagare di più o di meno, ma il condomino deve oggettivamente trovare minore utilità nell’usufruire di un determinato bene. Facciamo un esempio: se un condomino del terzo piano non usa mai l’ascensore, perché preferisce fare uso delle scale, egli non potrà pretendere di essere escluso in tutto o in parte dal pagamento della sua quota, perché oggettivamente è tra coloro che potrebbero beneficiarne di più. Il fatto che salga e scenda a piedi non avrà alcuna importanza, né potrebbe essere dimostrato in modo incontrovertibile. Oltre tutto, qualche altro condomino potrebbe eccepire che a fronte di un minore utilizzo dell’ascensore, egli farebbe maggiore uso delle scale, per la pulizia delle quali dovrebbe contribuire di più, rispetto alla quota spettante. Ne nascerebbe il caos.
In verità, la distinzione tra criterio oggettivo e criterio soggettivo non è sempre facile, tanto che la Cassazione ha invitato a tenere in considerazione caso per caso.
E lo stesso Codice Civile chiarisce all’art.1.124 che le spese relativa alle scale e all’ascensore si ripartiscono per metà in ragione del valore di ciascun piano o porzione di piano e per l’altra metà in base all’altezza del piano.
Ciò, perché è evidente che chi sta al pian terreno utilizza le scale e l’ascensore molto di meno di chi sta al quarto o quinto piano.
E all’art.1.126 c.c. si fa riferimento anche alle spese relative al lastrico solare, che quando non è di uso comune devono essere sostenute per un terzo da chi ha l’uso esclusivo e per i restanti due terzi da tutti i condomini dell’edificio, in proporzione al valore di ciascun piano o porzione di piano. Al lastrico solare è equiparata la terrazza, se di uso esclusivo di un singolo condomino.
Le spese di manutenzione e di ristrutturazione delle solette divisorie, ossia delle strutture che separano l’edificio in livelli, devono essere ripartite in parti uguali tra i piani interessati, quindi, al 50% per ciascun piano. Ovviamente, se in un piano vi sono più condomini, quel 50% va a sua volta ripartito tra di loro, in proporzione al valore delle singole proprietà.
In generale, le spese si distinguono in ordinarie e straordinarie. Le prime sono relative alla gestione delle parti comuni e dei relativi servizi, le seconde si hanno nei casi di ristrutturazione, rifacimento della facciata, etc.
Il regolamento condominiale può prevedere una diversa ripartizione delle spese, rispetto a quanto stabilito dalla legge. In genere, si fa uso dei cosiddetti millesimi, ovvero fatto mille la somma delle quote di tutti i condomini, si stabilisce quali siano i millesimi a carico di ciascuno, tenendo presenti vari criteri, anche in base alla specificità dell’edificio e di chi vi abita.
Una volta approvata la ripartizione delle spese, l’amministratore è tenuto a riscuotere le somme a carico di ciascun condomino, entro 6 mesi dalla scadenza del debito o dalla chiusura dell’esercizio. Se così non facesse, l’assemblea di condominio potrebbe revocarlo.
A tale proposito, l’amministratore potrà agire nei confronti del condomino moroso con un’ingiunzione di pagamento, che obbliga quest’ultimo a pagare almeno una parte subito, anche se presenta ricorso. In alternativa, può sospendere i servizi loro erogati, sempre che ciò sia possibile, oppure potrà indicare al creditore il suo nome, in modo che possa agire direttamente contro la sua persona per ottenere il pagamento della somma spettante.
Se un’unità immobiliare viene venduta, il nuovo proprietario sarà tenuto al pagamento delle somme ancora da versare e relative all’anno in corso e all’anno precedente, salvo avere il diritto a rivalersi nei confronti del vecchio proprietario, magari in forma di sconto sul prezzo di acquisto dell’immobile.