I patti parasociali sono spesso poco conosciuti, se non ignoti ai più, eppure i loro effetti potrebbero essere dirompenti per le scelte imprenditoriali di una società di capitali. Per essi si intendono quegli accordi siglati tra soci, che hanno come oggetto l’adozione di regole di condotta nel seguire l’esercizio dei poteri, delle facoltà e degli obblighi previsti dallo statuto, con il fine di stabilizzare l’assetto proprietario di una società, ovvero di influenzarne l’attività. Si distinguono dai patti sociali, che sono contenuti nello statuto e che vincolano tutti i soci, mentre quelli parasociali sono vincolanti solamente per coloro che vi hanno aderito, comportando nel caso di inadempimento la sola responsabilità contrattuale. Sul piano normativo, si tratta di contratti plurilaterali accessori ad effetti obbligatori con comunione di scopo. In sintesi, non è affatto obbligatorio per i soci stipularli o aderirvi, ma una volta che ciò avviene, bisogna rispettarli.
Ma nel concreto, vediamo cosa prevedono questi contratti, che il Testo Unico della Finanza ha deciso di normare per la prima volta, in modo che uscissero allo scoperto dopo anni di incertezze sul piano legale. Essi possono essere di tre tipi, sindacati di voto, sindacati di blocco e sindacati di acquisto. Nel primo caso, i soci devono concordare in anticipo il voto in assemblea. Nel secondo caso, viene limitata la facoltà di cedere le azioni a terzi non facenti parte del patto parasociale. Nel terzo, vengono concordati gli eventuali acquisti di azioni. Esistono anche patti di consultazione, con i quali i soci aderenti si vincolano a comunicare in anticipo le proprie intenzioni di voto in assemblea, oltre che i patti d’influenza dominante, attraverso i quali i soci puntano a influenzare l’assetto e le decisioni societari.
Chiaramente, non possono essere oggetto di patto parasociale accordi contrastanti con lo statuto della società o con norme inderogabili. Quanto alla forma, per le società non quotate l’art.2341-ter del Codice Civile prescrive l’obbligo di comunicazione alla società e di dichiarazione in assemblea, con annesso onere di trascrizione della dichiarazione nel verbale e suo deposito successivo presso l’ufficio del registro delle imprese. Per le società quotate, gli obblighi sono più stringenti, in quanto, a pena di nullità e della sospensione del diritto di voto, risulta necessario comunicare entro 5 giorni dalla stipula alla Consob, pubblicare per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni e depositare presso il registro delle imprese entro 15 giorni. La durata massima prevista per questi patti parasociali è di 5 anni per le società chiuse e di 3 anni per quelle aperte quotate. Nel caso in cui un patto parasociale fosse stipulato per un periodo eccedente la durata massima legale, questo viene automaticamente ridotto, mentre per i casi di stipulazione a tempo indeterminato, ogni socio aderente ha il diritto di recesso, dando preavviso di almeno sei mesi. Per le società quotate non è nemmeno dovuto questo preavviso per i casi di adesione a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio.
A parte gli obblighi di cui sopra, non esiste alcuna forma stabilita, essendo possibile anche stipulare patti parasociali oralmente e dinnanzi a testimoni. Vediamo cosa succede, se il patto parasociale viene stipulato, ma vengono infranti gli obblighi di comunicazione. Se successivamente a tale stipula, i soci aderenti hanno votato in assemblea, l’esito della votazione è annullabile, sempre che il voto espresso sia stato determinante. Per evitare che i soci aderenti violino il patto sottoscritto, questo viene generalmente accompagnato dalla previsione di salate penali per i soli casi di rottura, indipendentemente dall’avvenuto danno.
Il legislatore ha normato i patti parasociali per le sole SpA, ma va detto che ormai sembra unanimemente accettato che simili accordi possano essere siglati anche in altri tipi di società. Il fatto che non esista una norma espressa per queste ultime potrebbe dipendere dalla maggiore esigenza avvertita a tutela del mercato.
Per intenderci, i patti parasociali sono quegli accordi che si hanno specialmente in quelle società con capitale piuttosto polverizzato, in cui esistono tanti azionisti con una percentuale di diritti di voto sul totale non elevata, dove l’assetto proprietario sarebbe, in teoria, contendibile. In queste realtà, un gruppo di soci decide spesso di dare origine ad accordi per tentare di controllare le scelte decisionali in sede di assemblea, magari decidendo in comune i nomi dei componenti del cda e aspetti rilevanti nella gestione della società. Questi accordi prevedono tipicamente un diritto di prelazione per il caso di cessione di azioni da parte di uno dei soci aderenti, in modo da non indebolire il capitale complessivo in mano ai soci che hanno stipulato l’accordo, oppure l’obbligo di concordare il proprio voto o almeno di comunicarlo preventivamente al resto dei soci del patto. Guardati con diffidenza dal mercato e dallo stesso legislatore, negli ultimi anni si è capito che si tratta di un fenomeno non negativo, sempre che sia ricondotto alla luce del sole, in modo che il mercato abbia modo di conoscere l’esistenza e l’oggetto della stipula di un tale accordo tra soci.