Il fido bancario consiste in un credito che l’istituto concede al cliente, nella forma non tradizionale di sconfinamento possibile rispetto alle liquidità detenute sul conto corrente e fino a un ammontare massimo. In pratica, quando apro un conto corrente ordinario, le sue giacenze rappresentano il limite invalicabile che non posso superare, perché usualmente non mi è consentito andare in rosso.
Esistono casi, però, in cui si potrebbe avere l’esigenza, momentanea, di godere di più liquidità di quella al momento disponibile. Si pensi a una famiglia che si trova ad affrontare scadenze imminenti superiori alle entrate o a un’impresa, la cui disomogeneità tra incassi e pagamenti è la regola, così come lo è anche l’imprevedibilità degli uni e degli altri. Se un cliente mi chiede un rinvio dei pagamenti e non ha modo di andarmi incontro altrimenti, non posso che prenderne atto. Tuttavia, se quel denaro mi sarebbe servito per coprire un pagamento immediato e improcrastinabile, rischio una classica tensione sul fronte della liquidità che potrebbe portare a conseguenze spiacevoli, perché un fornitore non pagato nei tempi previsti, per esempio, potrebbe decidere giustamente di recidere ogni contatto oppure potrebbe praticare per il futuro condizioni meno favorevoli.
Ecco, quindi, che la banca può mettere, su richiesta, a disposizione uno strumento più flessibile, che non va inteso come un vero e proprio finanziamento. Si tratta del fido, ovvero un conto corrente che ci consente di andare in rosso per una somma, legata generalmente alla giacenza del conto medesimo, quindi su un conto di un milione di euro potrò usufruire certamente di un saldo negativo superiore, in valore assoluto, rispetto a un conto di appena 10.000 euro. La banca non concede il fido senza previe indagini sulle condizioni reddituali e patrimoniali del cliente, perché si tratta di fidarsi della sua capacità di rientrare dal rosso.
Vediamo adesso quali sono le conseguenze dell’utilizzo e dello sconfino del fido bancario. Già, perché ci muoviamo in un mondo abbastanza flessibile e mutevole da istituto a istituto. In alcuni casi, infatti, il direttore della banca concede al cliente non solo di andare in rosso per una certa cifra, ma di farlo persino per una somma superiore a quella massima pattuita. Attenzione, però, perché si può incorrere in situazioni spiacevoli, come vedremo.
Partiamo da una premessa più che ovvia, la banca concede il fido al cliente per ricavarci denaro. Se utilizzo tutta la liquidità in giacenza sul conto e ne ho bisogno di ulteriore, il mio saldo a debito sarà gravato chiaramente dagli interessi. Attenzione, perché possono essere salati, anzi generalmente lo sono. Il loro calcolo è giornaliero. Questo significa che, anche qualora la banca non ci obblighi a rientrare in un tempo dato, ci conviene farlo alla prima occasione utile, altrimenti rischiamo di pagare interessi elevati e che, peraltro, si capitalizzano al termine di ogni trimestre, ovvero producono a loro volta interessi ogni tre mesi, con la conseguenza che il nostro saldo tende ad aggravarsi in negativo.
A volte, poi, la banca applica una commissione anche nel caso in cui il cliente non abbia effettivamente usufruito del fido, per il solo fatto di averglielo messo a disposizione. Da questo scaturisce l’esigenza di richiederlo nei soli casi in cui esso venga ritenuto indispensabile e senza alternative convenienti sul piano finanziario. Se l’assenza di liquidità fosse una costante e per periodi non brevi, meglio sarebbe porre l’attenzione a una qualche forma di prestito vero e proprio, i cui tassi potrebbero risultare più bassi degli interessi applicati con il fido.
Vediamo cosa succede se sconfino il massimale concessomi con il fido. La banca non è tenuta a tollerarlo, per cui dovremo aspettarci la chiamata o la comunicazione per altra via della banca, con la quale ci chiede di rientrare subito nel massimo scoperto possibile. Ora, non è detto che ciò avvenga, perché l’istituto potrebbe scegliere la linea dura, specie nel caso in cui avesse già tollerato altri sconfinamenti e come clienti magari abbiamo interpretato tale atteggiamento come un avallo al nostro comportamento. Con la conseguenza che la banca potrebbe anche non coprire un assegno emesso, in quanto risultante sprovvisto dei fondi di provvista. L’assegno verrebbe bloccato e scatterebbe il periodo di messa in mora, decorso infruttuosamente il quale l’emittente verrebbe segnalato alla Centrale Rischi Interbancari della Banca d’Italia e, in ogni caso, sarà colpito dalle sanzioni.
Di conseguenza, il consiglio è di attenersi sempre allo scoperto massimo pattuito e se non fosse possibile, quanto meno di cercare un dialogo con la banca, al fine di segnalare la propria correttezza, senza cui l’istituto chiuderebbe i cordoni della borsa, mettendoci in difficoltà.