Parlare non è comunicare. Eppure in molti sono convinti che padroneggiare una lingua sia già sufficiente per ritenersi degli ottimi comunicatori.
Niente di più sbagliato. Soprattutto se si considera che nel processo comunicativo che ogni giorno si sperimenta nei più svariati ambiti (dal lavoro alla vita di coppia, passando per le riunioni condominali fino alle uscite serali con gli amici) a contare maggiormente non sono tanto le parole ma piuttosto il contatto visivo, la gestualità, il posizionamento del corpo rispetto all’interlocutore, la mimica facciale e… il sorriso. Sì, perché un segno di apertura come questo vale più di tante belle frasi messe insieme. Per intenderci: è possibile che a parole si dica una cosa mentre i movimenti del corpo ne rivelano un’altra, magari di segno totalmente opposto.
Ecco cosa diceva lo psicologo statunitense Albert Mehrabian in un suo studio del 1972, oggi ancora molto attuale: l’efficacia del messaggio dipende dal linguaggio non verbale per il 55%, dal volume e dal tono della voce per il 38% e dalle parole per il solo 7%. Insomma, a rimanere impresse nella mente delle persone sono tutte quelle cose che non ti aspetti. D’altra parte è l’esperienza comune a confermarlo, anche se quasi mai ce ne rendiamo conto. Quante volte è capitato, infatti, di aver preso parte a una conferenza e di esserci ricordati, insieme ai pochi concetti rimasti nella testa, del tic nervoso del moderatore o della cravatta a pallini gialli indossata dal relatore? Ovviamente questo non significa che le parole siano inutili!, solo si dovrà avere l’accortezza (per non dire la furbizia) di “servirle” al pubblico rispettando qualche dritta. Per esempio, sarebbe molto utile non disturbare l’attenzione tenendo in mano una penna e giocherellandoci di continuo. La platea potrebbe distrarsi invece che rimanere concentrata sul contenuto del discorso. E distrazioni (per l’uditorio) sono anche l’incapacità di stabilire un contatto visivo – molto importante per agganciare l’interesse in chi ascolta – e la difficoltà nel “parlare per immagini”. Qui il rischio è di risultare troppo verbosi e di non far “sognare” la gente. Chi ascolta, infatti, deve poter vedere ciò che si sta dicendo, emozionarsi, far galoppare la fantasia e, in definitiva, tornarsene a casa con un’immagine che sia legata a quel concetto importante che si voleva in tutti i modi far passare.
Armonia. Alla fine si tratta di questo, di un delicato equilibrio tra corpo e mente. Ed è bene ricordarsene tutte le volte che si scambia il primo per un vero e proprio fardello, pronto per essere abbandonato appena presa la parola, mentre invece è lo strumento che dà forza espressiva a tutto ciò che si dice, con o senza il nostro consenso. Diceva Paul Watzlawick, anche lui psicologo, che “è impossibile non comunicare”. Pertanto anche se decidessimo di chiudere improvvisamente bocca, il nostro corpo continuerebbe a parlare per noi.